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Reddito di cittadinanza e razzismo

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Reddito di cittadinanza: i poveri assoluti nel nostro Paese sono oltre 5 milioni l’ 8,3% della popolazione, praticamente 1 residente su 12. 

 

L’introduzione del reddito di cittadinanza è sicuramente una delle innovazioni più significative e discusse volute dal Movimento 5 Stelle e introdotta nella nuova finanziaria. Non mi perdo in disquisizioni tecniche su come verrà adottato, chi ne avrà diritto, i tempi in cui diventerà effettivo, ecc. ma penso sia necessaria qualche riflessione generale sull’argomento.

 

Penso che un provvedimento vada inquadrato nel contesto storico e sociale in cui viene approvato. Se è vero che la disuguaglianza è la pietra su cui si fonda il capitalismo, la situazione si aggrava sempre di più. Nel nostro Paese, il reddito del quinto dei cittadini più ricchi è 6,3 volte quello del quinto dei più poveri; infatti si sta assistendo al più grande furto della ricchezza della storia mondiale recente: l’82% dell’incremento di ricchezza globale del 2017 è finito nelle casseforti dell’1% più ricco della popolazione, mentre la metà più povera del mondo (3,7 miliardi di persone) ha avuto lo 0%. Ancora più impressionanti sono i dati sulla povertà in Italia. I poveri assoluti nel nostro Paese sono oltre 5 milioni – 8,3% della popolazione, praticamente 1 residente su 12. Si consideri che nel 2005 i poveri assoluti erano “solamente” circa 2 milioni (il 3,3% della popolazione). Ancora più significativo il fatto che il 56,1% del totale dei poveri assoluti siano al Sud, zona che ha premiato particolarmente i pentastellati. Anche la povertà relativa è in forte crescita: nel 2017 i residenti in tale situazione sono 9 milioni 368 mila (15,6% contro 14,0% dell’anno precedente), con particolare incidenza sui giovani dove abbiamo una percentuale del 16,3% se la persona è under 35.

Tutti i dati sopraelencati indicano chiaramente che l’emergenza vera di questo Paese sono le disuguaglianze sociali (e geografiche) e la povertà dilagante. Ormai molti economisti dichiarano che nel 2008 non si è aperta una vera e propria crisi, ma una vera “rapina” di ricchezze spostate dalla massa dei lavoratori alla minoranza degli sfruttatori (spesso nemmeno imprenditori ma meri speculatori finanziari). E’ necessario a questo punto ripensare il welfare per far fronte a questa mostruosa e inumana situazione. E’ del tutto chiaro che l’obiettivo deve essere la piena occupazione, ma va detto che le politiche adottate dai precedenti governi, culminate col banditesco Jobs Act, non possono rappresentare una soluzione accettabile in quanto fanno regredire le tutele dei lavoratori a una situazione ottocentesca. Partendo dalla situazione disastrosa lasciata in eredità dal combinato delle azioni dei governi cosiddetti tecnici e quelli a guida PD a cui aggiungere il dato sistemico, secondo il quale rispetto al 2008, l’Italia ha perso il 23% della propria produzione industriale e il 14% della capacità produttiva, resta da capire come “mettere una pezza” nell’immediato, in attesa che la piena occupazione diventi una realtà invece che una chimera (va ricordato che al momento la disoccupazione in Italia è al 10%). Inoltre, penso che si debba fare una considerazione di fondo: è così impensabile stabilire per legge che nessuna persona residente in Italia debba essere costretta a vivere al di sotto della soglia di povertà? E’ pensabile vivere in una comunità nazionale in cui chi ha più soldi paghi più tasse per evitare che ci sia gente che muoia di fame o non abbia i soldi per curarsi (Nel 2018, 539.000 poveri non si sono potuti permettere le cure mediche e i farmaci di cui avevano bisogno, mentre 13 milioni di persone hanno limitato le spese per visite e accertamenti)? Si dirà, certo ma non con l’assistenzialismo. Beh, io penso che se uno Stato non è in grado di garantire un lavoro, e parlandoci chiaramente, in questo momento storico nessuno è in grado di garantire una “buona occupazione” a tutti, ebbene si, misure assistenziali sono non solo necessarie ma doverose. Semmai ci si dovrebbe chiedere se legare tali misure di giustizia sociale all’obbligo del lavoro non sia troppo “restrittiva”. Che la cosiddetta sinistra italiana attacchi tale provvedimento spiega come mai il PD sia sempre più il “partito ZTL”.

Altro aspetto incredibile delle critiche rivolte al reddito di cittadinanza è il razzismo, ormai nemmeno troppo velato che il PD e soci riservano alle persone che vivono nel sud del nostro Paese. Si dice: quelli sono truffatori, si licenzieranno tutti, prenderanno il reddito di cittadinanza e poi lavoreranno in nero. Tale ridicola e vergognosa affermazione si basa su uno dei principi tipici del razzismo: noi siamo un popolo onesto e lavoratore mentre i “terroni” sono tutti parassiti che vivono sulle nostre spalle! La cosa divertente è che non lo dice un leghista alla Borghezio, ma la “sinistra al caviale”, proprio quella che aizza l’odio politico contro la Lega accusandola di fascismo e razzismo. Forse andrebbe chiarito che il lavoro nero del sud è ben altra cosa rispetto all’evasione fiscale degli imprenditori del nord. In Meridione, la gente è generalmente costretta a lavorare senza contratto (quindi senza tutele e contributi) e a salari da fame visto la quasi assenza totale di posti di lavoro. Ci si auspica che di fronte alla possibilità di ricevere un reddito dignitoso, la gente rifiuti occupazioni non degne di un Paese civile e quindi gli sfruttatori siano obbligati a fornire un lavoro “regolare”. Qua io credo stia la scommessa sul reddito di cittadinanza.

Penso che questo governo abbia molti difetti, ma segni un senso di “cambio di rotta” rispetto alle politiche turbo-capitaliste degli ultimi decenni – questo è il senso del reddito di cittadinanza – e quindi debba essere sostenuto, quanto meno quando si spende in tal senso (ovviamente va altrettanto criticato in altre circostanze)

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