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L’Europa, Trump e il fantasma dell’Occidente

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Gli USA di Trump, preso atto dell’impossibilità di una loro egemonia mondiale, vogliono riaffermare il primato americano. Alla fine dell’egemonia americana, fa riscontro la fine dell’Occidente. Emerge l’inconsistenza del mito dell’Occidente, quale civiltà unitaria fondata sulla comune condivisione dei valori tra l’Europa e l’America,   data la originaria diversità tra due identità distinte. L’Occidente nasce dagli equilibri strategici del mondo bipolare della Guerra fredda.

La UE si è integrata nelle strategie dei neocon americani, che, al fine di contrapporsi a Trump, perseguono una strategia di sabotaggio degli accordi si pace con la Russia. 

Trump vuole avvalersi dei dazi come strumento di pressione nelle trattative con i singoli stati, onde incentivare il trasferimento negli USA di strutture produttive per reindustrializzare l’America o per ottenere altre concessioni di natura finanziaria.

Con l’adesione ai valori occidentali l’Europa ha reciso le sue radici culturali e ha artificialmente reinventato se stessa sulla base di principi ideologici sostitutivi della propria identità.

L’Occidente non è una civiltà

Trump ha sconvolto il mondo? No, ha solo dissolto la nube ideologica che avvolgeva l’Occidente. Gli USA, superpotenza mondiale in crisi, con la “Fortezza America” tornano alle proprie origini, rivelano il proprio essere, la loro identità storica e culturale. L’Europa invece disvela il suo non essere, il proprio nichilismo identitario.

Gli USA di Trump, preso atto dell’impossibilità di una loro egemonia mondiale, vogliono riaffermare il primato americano. La profezia dell’avvento di un mondo globalizzato, pacificato e dominato da una unica superpotenza, si è rivelata fallace, ha anzi determinato una sovraesposizione politica e militare della governance americana, che ha gradualmente eroso il suo primato. E’ tramontata l’era della globalizzazione: il modello economico – finanziario neoliberista ha determinato la deindustrializzazione dell’America e generato nuovi competitor geopolitici quali la Cina e i Brics. Il declino americano si evidenzia soprattutto all’interno, con l’accentuarsi delle diseguaglianze sociali, la scomparsa della classe media, l’immigrazione fuori controllo, un debito insostenibile. Gli USA inoltre, non sono più in grado di fare la guerra, sia per il venir meno della propria capacità produttiva negli armamenti, sia per l’assenza di motivazioni ideali in un popolo che non crede più nell’eccezionalismo americano. Un’America che, pur riconoscendo la necessità di convivenza con altre potenze, non rinuncia al proprio primato.

Alla fine dell’egemonia americana, fa riscontro la fine dell’Occidente, che lascia in eredità macerie e orizzonti ignoti. Fine dell’Occidente significa anche fine della Nato e di una UE che aveva la sua ragion d’essere in un  Occidente che non c’è più. L’Europa è pervasa da un isterismo bellico russofobico, vuole far sopravvivere l’Occidente alla sua dissoluzione.

In questa fase di crisi, emerge l’inconsistenza del mito dell’Occidente, quale civiltà unitaria fondata sulla comune condivisione dei valori tra l’Europa e l’America. L’assimilazione culturale e politica delle due sponde dell’Atlantico si rivela del tutto fallace, data la originaria diversità e per certi versi l’incompatibilità tra due identità distinte.

La cultura europea ha una ben precisa identità politica e filosofica, incentrata sul concetto del limite, del confine, che implica il riconoscimento dell’altro da sé, della diversità. Il pensiero politico europeo (erede della cultura classica e della civiltà cristiana), si articola fondamentalmente su una dialettica (amico – nemico), che comporta il prefigurarsi di una sintesi unitaria della molteplicità e che si riassume nella coscienza dell’universale, scaturito dalla sussistenza di tante particolari identità diverse, che tuttavia si riconoscono in valori comuni.

L’America invece, è sorta su valori fondativi di origine teologica – veterotestamentaria, su di un universalismo che non ammette limiti, né confini territoriali, in quanto ogni barriera costituisce una nuova frontiera da oltrepassare. L’America si è sempre concepita come una “terra promessa”. Il popolo americano, in virtù del proprio eccezionalismo, afferma il suo primato sulla base di un destino manifesto, che concepisce gli USA come una nazione predestinata ad estendere i propri valori a tutto il mondo. L’ideologia del territorio come spazio illimitato e dell’universalismo messianico, sarebbe pervenuta, con la globalizzazione e l’americanizzazione del mondo, alla sua completa realizzazione.

L’Occidente atlantico nasce sulle ceneri dell’eurocentrismo, scomparso dopo la seconda guerra mondiale. Gli USA comunque furono gli eredi del dominio anglosassone dell’impero britannico, non dell’Europa. Pertanto, l’Occidente si identificò con il dominio americano sull’ovest europeo contrapposto all’est sovietico, in base alla logica del bipolarismo USA – URSS, scaturito dalla Guerra fredda. L’Occidente dunque nasce dagli equilibri strategici del mondo bipolare e non può essere considerato come una civiltà unitaria tra le due sponde atlantiche. L’occidentalismo è da considerarsi come un fenomeno ideologico, funzionale alla contrapposizione tra USA e URSS, intesa come il conflitto tra il mondo libero e il totalitarismo, capitalismo e comunismo, con l’intento parallelo di scongiurare l’emergere di una potenza europea con conseguente spostamento del baricentro dell’Europa dall’area atlantica all’Eurasia. L’Occidente è quindi il prodotto di una ideologia di stampo liberale atta a legittimare il dominio americano sull’Europa.

Con la fine della Guerra fredda, viene meno la centralità dell’Occidente e dell’Europa atlantica. L’area geopolitica dell’Occidente si è dissolta nel mondo globalizzato. L’unilateralismo globalista americano non concepisce barriere e aree d’influenza geopolitica contrapposte ad esso. Infatti, sia il modello globalista, finalizzato alla americanizzazione del mondo, che quello trumpiano, che in nome dell’America First rivendica il primato USA, escludono al sussistenza dell’Occidente.

L’avvento di Trump ha prodotto effetti traumatici su di una Europa già identificatasi dal ’45 in poi con l’Occidente. La UE, che si riconosce nell’America liberal dei dem sconfitta da Trump, in vista del disimpegno della Nato in Europa, persegue una politica di riarmo, paventando una fantomatica invasione russa. L’Europa, con il sostegno aperto dei neocon americani, mira alla sopravvivenza di un Occidente senza America, sostituendosi agli USA, nel ruolo di difensore dei valori del “mondo libero”, imputando a Trump il reato di tradimento dell’Occidente. La UE si dimostra paradossalmente più americana dell’America.

L’Europa ha interiorizzato e assimilato l’americanismo, divenuto oggi espressione della sua identità occidentale alienata. La UE, ispirandosi alla visione universalistica occidentale, con epicentro negli USA, propria dei precedenti presidenti democratici americani, si configura come una riproduzione continentale delle contrapposizioni interne americane. E’ parte integrante dell’America, che esporta le sue conflittualità dal fronte interno nelle sue ramificazioni territoriali europee ad essa esterne. Infatti, una UE fuori dall’Occidente è impensabile. Il ruolo degli europei in tale contesto geopolitico, è ben descritto da Lucio Caracciolo nell’articolo «La sindrome dell’ombrello fantasma» pubblicato sul numero di «Limes» 03/2025: «Il paradosso attuale è che mentre russi e americani, stracarichi di bombe atomiche perciò indisponibili a scontrarsi, tentano di spegnere l’incendio sulla pelle degli eroici ucraini, i paciosi “alleati” europei di Washington ne sono terrorizzati. Con grave ritardo si scoprono nudi e divisi davanti alla dismissione di fatto dell’Alleanza Atlantica per iniziativa del fondatore e santo patrono: l’America stessa, oggi di
fronte all’urgenza di chiudere la partita con i russi in terra di Ucraina. Periferia per loro, terrasanta per il Cremlino, più o meno lontano vicino per i soci europei della Nato, fermi al precetto delle origini che voleva americani dentro, russi fuori e tedeschi sotto. In via di rovesciamento nel quasi opposto: americani fuori, russi alle porte (ma da Sebastopoli e dal Donbas, non a Berlino) tedeschi e altri europei in
fuorigioco però abilitati a pagare di tasca propria il conto della “sicurezza” – si fa per dire. Assistiamo al tristo spettacolo di europei che minacciano di fare la guerra alla Russia in modo che gli ucraini continuino a farla per loro. A noi i principi, a voi, eroi di Kiev, difenderli con la vita. Diversi sensi del pudore».

Ucraina: il sabotaggio europeo e neocon americano della pace

La pace tra Russia e Ucraina, nonostante i roboanti annunci trumpiani, sembra ancora lontana. Rilevanti fattori interni condizionano i leaders di USA e Russia, le reali antagoniste nel conflitto. Trump si esibisce in rocamboleschi artifici retorici, nel velleitario tentativo di far ricadere interamente sull’amministrazione Biden la responsabilità della sconfitta strategica americana. Lo stesso Putin, avrà gravi difficoltà ad intestarsi una vittoria sulla Nato in una guerra in cui ha conquistato 4 oblast, a fronte di circa 100.000 morti, distruzioni, enormi spese in armamenti, con il coinvolgimento della Cina, che rischia di trasformarsi in un abbraccio mortale, a causa della penetrazione economica e strategica cinese in atto nell’Asia centrale e nella regione artica. Assai improbabile peraltro appare lo smantellamento dell’arsenale missilistico della Nato ai confini russi nel Baltico.

La pace comporterà probabilmente la cessione alla Russia di 5 regioni ucraine, la non entrata dell’Ucraina nella Nato, ma assai problematica appare l’accettazione da parte della Russia della presenza di truppe di paesi della Nato in Ucraina, a garanzia della sua sicurezza. Va delineandosi una situazione di stallo: la Russia non accetta truppe occidentali a presidio del territorio ucraino e l’Ucraina rifiuta la cessione delle regioni occupate dai russi. Ma, data la progressiva avanzata russa, l’Ucraina potrebbe collassare.

L’integrazione dell’Ucraina nella Nato è un progetto che risale agli anni ’90. E truppe della Nato in Ucraina sono presenti dal 2014, con funzioni di assistenza militare e intelligence.

Le prospettive di una pace concordata tra USA e Russia, ottenuta a spese dell’Ucraina, allarmano oltremodo l’Europa, impegnatasi nel conflitto, ma esclusa dalle trattative e destinata a farsi carico della ricostruzione post bellica dell’Ucraina. Pertanto, la UE è determinata a sostenere l’Ucraina nel proseguimento del conflitto e, a fronte dell’annunciato disimpegno americano, ha varato un piano di riarmo per 800 miliardi, onde instaurare una efficace deterrenza europea dinanzi alla minaccia di una ipotetica invasione russa.

L’Europa si è adeguata alle strategie belliciste della fazione dei neocon democratici americani. Il mainstream americano sostenuto dai democratici afferma che, dato l’improbabile crollo della Russia, sia dal punto di vista bellico che economico, dopo il fallimento della controffensiva ucraina e il disimpegno di Trump nel conflitto, qualora si incrementassero i finanziamenti e le forniture di armi, il conflitto potrebbe avere un esito favorevole per l’Occidente. Le forniture si sono ridotte e, data l’indisponibilità degli USA, gli europei dovrebbero provvedere ad erogare ulteriori finanziamenti in sostituzione di quelli americani. Ma fino a che punto i “volenterosi” britannici, francesi e tedeschi sarebbero disposti? Le sorti del conflitto non potrebbero capovolgersi che con l’intervento diretto americano, che è impensabile.

Il disimpegno americano attualmente è solo parziale, in quanto una vittoria totale della Russia, oltre a rappresentare una epocale sconfitta strategica per la Nato, precluderebbe ogni accordo tra la Russia e gli USA. Sia gli USA che la Russia sono infatti interessati a intavolare trattative di pace. Gli USA sono interessati a svincolare strategicamente la Russia dalla Cina, a riattivare i rapporti commerciali con essa, oltre che allo sfruttamento delle materie prime ucraine. La Russia è interessata altresì, alla revoca delle sanzioni economiche, ad un trattato di pace che comporti garanzie di reciproca sicurezza in Europa, a sottrarsi ai vincoli strategici ed economici con la Cina.

L’Europa, dinanzi ad un mondo che cambia, rimane immobile. Gli europei, omologatisi alle strategie russofobiche delle precedenti amministrazioni democratiche americane, non concepiscono un futuro diverso dagli equilibri del passato, interpretando la geopolitica attuale alla luce degli schematismi della Guerra fredda, dello scontro di civiltà, dei conflitti astrategici e interminabili contro nemici assoluti innescati dall’Occidente.

La UE è un’oligarchia irriformabile, la cui governance, sottratta al consenso popolare, si è integrata nelle strategie dei neocon americani, che, al fine di contrapporsi a Trump, perseguono una strategia di sabotaggio degli accordi si pace, con la continuazione di una guerra di logoramento della Russia, già rivelatasi fallimentare. Le oligarchie euro – atlantiche, nell’intento di esorcizzare i propri fallimenti, intendono proseguire una guerra ad oltranza, che alla lunga si rivelerà suicida per esse e per i loro popoli.

Trump e il “Sacco d’Europa”

La politica trumpiana dei dazi scaturisce dal fallimento della globalizzazione. Gli USA, con la delocalizzazione industriale in Cina e altri paesi con manodopera a basso costo, hanno destrutturato il loro sistema produttivo. Pertanto, l’economia americana è attualmente afflitta da un deficit commerciale insostenibile, dovuto alla eccedenza di importazioni di merci, rispetto alle loro esportazioni di servizi.

Inoltre, si rileva negli USA un preoccupante squilibrio tra risparmi e investimenti. I mercati finanziari americani devono dunque attrarre capitali da tutto il mondo per compensare tale deficit di risparmio, onde sostenere il debito aggregato. La spesa per interessi sul debito pubblico statunitense è oggi equivalente alla spesa per gli armamenti, che è enorme. Il debito privato poi assume negli USA una incidenza assai rilevante, relativamente al finanziamento della previdenza e della assistenza privata, all’acquisto di case e di auto e al sostegno dei consumi.

Tale situazione di allarmante squilibrio finanziario è così decritta dal segretario al Commercio Howard Lutnick, in una intervista rilasciata alla «CBS»: «Occorre resettare e ridefinire i rapporti di potere degli Stati Uniti sia nei confronti degli alleati che dei nemici. L’idea che tutti i Paesi del mondo possano accumulare eccedenze commerciali con gli Stati Uniti e acquistare con il ricavato i nostri asset da noi non è sostenibile. Stiamo parlando di quasi 1,2 trilioni di dollari [di passivo, nda] all’anno ormai. Nel 1980 eravamo un investitore netto. Possedevamo cioè più asset del resto del mondo di quanto il resto del mondo ne possedesse di nostri […]. E ora gli stranieri possiedono 18 trilioni di dollari di asset in più rispetto a noi. Sono diventati creditori netti. Realizzando ormai 1,2 trilioni di dollari di avanzo commerciale, il resto del mondo acquisterà ogni anno ulteriori 1,2 trilioni di dollari di asset americani… La situazione continuerà a peggiorare costantemente. Alla fine non saremo più proprietari del nostro Paese; il proprietario sarà il resto del mondo!».

Trump vuole avvalersi dei dazi come strumento di pressione nelle trattative con i singoli stati, onde incentivare il trasferimento negli USA di strutture produttive per reindustrializzare l’America o per ottenere altre concessioni di natura finanziaria. E’ prevedibile che i dazi trumpiani avranno un impatto minore nei confronti dei paesi che consentiranno agli USA l’accesso all’acquisizione di asset industriali e ai propri mercati finanziari. Nel mirino di Trump c’è soprattutto l’accesso al risparmio cinese ed europeo.

La Cina ha risposto con l’imposizione di controdazi sulle merci d’importazione americana. La Cina infatti non è ricattabile, dato che la sua economia non è più dipendente dall’export. Il rapporto Pil / export cinese è sceso dal 32% al 18% negli ultimi anni ed esporta negli USA prodotti tecnologici molto competitivi che per gli Stati Uniti non sono rimpiazzabili. Il calo dell’export dovuto ai dazi sarebbe peraltro compensato da maggiori esportazioni nei mercati asiatici ed europei.

L’economia europea si presenta invece particolarmente vulnerabile dinanzi al protezionismo trumpiano, perché basata sull’export. Germania e Italia sarebbero i paesi più penalizzati. La trattativa sui dazi tra Trump e la UE, oltre a comportare l’incremento di forniture energetiche americane e di armamenti, nel contesto del programma di riarmo europeo, potrebbe includere l’accesso dei fondi di investimento americani al sistema bancario e assicurativo previdenziale e sanitario europeo. L’afflusso di capitali provenienti dal risparmio europeo nei mercati finanziari americani, consentirebbe agli USA di risanare il deficit commerciale e compensare il tasso di risparmio americano, attualmente del tutto inadeguato al volume degli investimenti.

Il programma di reindustrializzazione presenta peraltro notevoli difficoltà, data la sua incompatibilità con lo status di valuta internazionale del dollaro. La politica dei dazi inoltre incide negativamente sulla reindustrializzazione americana, dato che le tariffe sull’import comporterebbero il rincaro dei costi di produzione, inflazione e contrazione della domanda. Il calo dell’import avrebbe quindi ripercussioni negative anche sull’export.

Si profilano contrapposizioni violente tra la FED, le Big Three e i gruppi sostenitori di Trump in tema di tassi di interesse. Per la reindustrializzazione americana sarebbe necessario un calo dei tassi di interesse. Le Big Three, che dispongono di una massa di liquidità valutabile intorno ai 13.000 miliardi, esercitano forti  pressioni sulla FED perché un elevato livello dei tassi è per loro indispensabile per attrarre capitali su scala mondiale, onde preservare quindi il loro monopolio del risparmio. Quest’ultimo costituisce una temibile arma di ricatto nei confronti delle istituzioni politiche. La riduzione dei tassi peraltro produrrebbe l’effetto di stornare gli investimenti dal mercato finanziario per farli affluire nell’economia reale.

Trump è oggetto di violenti attacchi da parte di Black Rock e J.P. Morgan, che, unitamente agli altri gruppi finanziari, disponendo del risparmio gestito dei cittadini, hanno reso la popolazione dipendente da essi per le loro esigenze essenziali (sanità, previdenza, istruzione ecc …). Nel sistema neoliberista la finanza si sostituisce allo stato ed assume anche un ruolo politico di assoluta rilevanza per quanto concerne la sostenibilità del debito pubblico. Trump vuole ridurre il potere dei fondi di investimento, sostenendo la finanza degli hedge found, dei private, delle criptovalute. E’ in atto una guerra interna al capitalismo finanziario, che, oltre a comportare alta instabilità dei mercati e ricorrenti crisi, finirà per dilaniare gli Stati Uniti.

Dinanzi a tali tempeste l’Europa si presenta disarmata, incapace di assumere iniziative di affrancamento dal sistema finanziario americano, di cui è destinata ad essere facile preda. Nel futuro della UE si prefigura un “Sacco d’Europa”, quale immagine storico – metaforica evocativa di una riproduzione del “Sacco di Roma” dei lanzichenecchi del ‘500, tramutatisi questa volta in americani.

L’Occidente e la UE: due organismi geopoliticamente modificati

Il fantasma dell’Occidente viene evocato dai leaders europei come valore irrinunciabile, consustanziale alla fondazione dell’Unione Europea. Così si è espressa Meloni nel recente incontro con Trump: “Qualcuno mi definisce una nazionalista dell’Occidente. Non so se sia la definizione giusta, ma sono sicura che insieme siamo più forti»…«Renderemo l’Occidente grande»…«Quando parlo dell’Occidente, non parlo di uno spazio geografico: parlo di una civiltà. Voglio rendere questa civiltà più forte», aggiungendo che il suo obiettivo «è rendere l’Occidente grande di nuovo». La definizione dell’Occidente come scelta di civiltà implica l’identificazione simbiotica dell’Europa con gli USA.

In realtà i valori dell’Occidente sono stati da sempre riproposti nel contesto delle contrapposizioni tra gli USA i suoi nemici assoluti. Dall’Occidente e dal suo suprematismo etico – politico di stampo anglosassone sono scaturite la russofobia, l’islamofobia, la demonizzazione dell’Eurasia e della Cina.

L’Occidente non è una civiltà e tantomeno costituisce una scelta di civiltà, ma rappresenta la condizione esistenziale di subalternità politica, economica e culturale dell’Europa agli USA. Con l’adesione ai valori occidentali della liberaldemocrazia, dell’individualismo, dei diritti umani, l’Europa ha reciso le sue radici culturali e ha artificialmente reinventato se stessa sulla base di principi ideologici sostitutivi della propria identità. L’Occidente e la UE si sono rivelati due organismi geopoliticamente modificati prodotti dai laboratori ideologici euro – atlantici estranei alla cultura e alla storia.

L’Europa, nel professarsi occidentale, ma anti trumpiana, mira alla restaurazione di un primato atlantico nel mondo storicamente in via di esaurimento. Il fenomeno Trump ha determinato la fuoriuscita dell’Europa dalla dimensione post – storica della Guerra fredda e il suo contemporaneo approdo a quella anti – storica di un Occidente – zombi, ridotto ormai a cadavere della storia prossimo alla putrefazione.

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