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China for Africa

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Il fantasma di Kilamba, la città vuota costruita dalla Cina in Angola, come in tutta l’Africa, è soltanto una garanzia collaterale enorme, l’equivalente di una megagalattica cambiale firmata in cemento e vetro.

 

 

 

Se pensate che vi voglia riproporre il solito copia-incolla di una vecchia storia che ha i suoi esordi in Angola nel 2012 e per la sceneggiatura si è valsa dell’investimento di 3,5 mld di dollari ad opera della China International Trust and Investment Corporation, vi sbagliate di grosso.

La Cina ha un sacco di oro fisico, dollari – 2/3 del debito pubblico americano sottoforma di obbligazioni che tengono per il collo gli USA… altro che guerra dei dazi! – e una liquidità quasi senza limiti.

Quindi, non è un mistero per nessun attore dell’alta finanza speculativa internazionale – competitor in neolingua – e non vi è nessuna reazione indignata dovuta al fatto che Pechino si possa permettere di costruire dal nulla, in Africa, città, che per ora o per sempre, sono disabitate.

 

Quello che vi voglio invece riproporre, è un passaggio di un articolo dell’economista David Stockman, più volte postato in rete e che, come al solito, non ha suscitato grande interesse, essendo analisi precisa e ben circostanziata dei lontani fatti che portarono all’implosione del sistema Ponzi legato al crollo della Lehman Brothers nel 2008.

Il passaggio dell’articolo in questione riguarda le garanzie collaterali.

Queste sono l’assicurazione di un impegno di pagamento.

Di quale impegno si tratta?

Dell’emissione di titoli obbligazionari, sostanzialmente un’ enorme montagna di carta, per la precisione di cambiali, di pagherò, titoli che portano il nome di quegli Stati che, per coprire i loro debiti sovrani, li scaricano sul mercato finanziario, favoriti dal cosiddetto Prestatore di Ultima Istanza: una banca centrale che s’impegna/promette, in caso di default dello stato emittente obbligazioni, di comprarsi i titoli inesigibili.

Nel caso americano è la FED; nel nostro è la BCE con somma incazzatura dei tedeschi, ma per banche si possono anche intendere OPEC, GazProm, e cartelli petroliferi/minerari affini.
(altro discorso per i cartelli illegali che gestiscono il denaro nero che dovrà essere riciclato in quello bianco, ad esempio, il confluire dell’oppio dal mercato dei signori della droga a quello dei signori della farmaceutica)

Adesso il passaggio dell’articolo, immaginando che, ad un certo punto, i tassi cominceranno a crescere e il QE, la valanga incontrollabile di denaro stampato dalle summenzionate banche, si arresterà, come ha già iniziato a fare, con relativo deragliamento economico-politico e sociale sui binari di un avvitamento spiraliforme deflazionistico.

 

“Poi, un bel giorno, le cose vanno a rotoli. Credete che le obbligazioni internazionali in dollari — un esempio del debito da $9 bilioni dei mercati emergenti — emesse dalle banche turche a garanzia dei loro prestiti rappresentino una storia diversa? Basta solamente guardare alla catena di garanzie. Istanbul è composta da chilometri di appartamenti ed edifici commerciali vuoti che sono la garanzia dei prestiti bancari turchi. Ma qual è l’equity dei costruttori immobiliari che hanno stipulato questi prestiti se non il loro “investimento” nel governo di Erdogan?
Il più delle volte il suddetto equity è costituito dagli acconti sullo spazio di costruzione; denaro sborsato dagli speculatori che l’hanno preso in prestito dalle stesse banche.”

 

L’ultima frase è la chiave della corretta interpretazione di tutti quei monumenti al nulla, nuovi, sfitti e abbandonati dove i nostri occhi di cittadini stralunati si sono posati negli ultimi 10 anni in Italia, chiedendosi appunto, come il De Angelis cantore: “Ma cos’è questa crisi?”

 

Il fantasma di Kilamba, la città vuota costruita dai cinesi in Angola, è soltanto una garanzia collaterale enorme, ma credetemi sulla parola, lo è anche l’intera area dell’EXPO milanese, il grattacielo IntesaSanPaolo di Torino e l’intera città di Dubai, l’equivalente di una megagalattica cambiale firmata in cemento e vetro alla Ing Direct olandese, banca che non se la passa bene da quando la vichinga Islanda ha dichiarato forfait e se n’è infischiata di ristrutturare il debito, obbligando i tulipani cravattari a fare i “conti aranci” per non soffocare nel loro stesso succo acido.

 

Ora, si potrebbe estendere il discorso al petrolio sotto i 60 dollari al barile e al fatto che gli Emiri, super-indebitati con le banche europee, sanno perfettamente come gestire l’offerta di greggio sul mercato per scaldare nuovamente i prezzi; trucchetto dell’estrazione che avevano già utilizzato a loro vantaggio quando congelarono il loro debito, in maniera del tutto unilaterale, con gli olandesi.

Davanti ai distributori, cari consumatori italiani, cosa pensate stiano facendo con i vostri portafogli
i grandi debitori insolventi (Stato italiano incluso) che dovrebbero pagare in petrolio, oro e spazi urbani le garanzie collaterali: fanno la guerra dei prezzi sfruttando i loro immensi depositi di petrolio, oro e cemento, mentre i più pezzenti ci aggiungono le accise.

 

E non solo.

 

Un altro modo per proteggersi dal rischio di fallimento è quello di manipolare il mercato delle opere d’arte, altro collaterale che, fra l’altro, non risente di aggravi fiscali (ricordate la passione per l’arte contemporanea di Gekko in WallStreet di Oliver Stone?).

Distorsione commerciale che ha portato all’esorbitante battuta d’asta dei Giocatori di Cézanne comprati dalla famiglia reale del Qatar a 250mln di dollari, sempre nel 2012 (la stessa famiglia che compra i centri storici di Torino, Milano, Roma e si sollazza con il Barolo delle Langhe diventate Patrimonio UNESCO proprio sotto la loro patrocinatura nel 2014).

E nello stesso anno, il 2012, guarda un po’ – ma era dal 2007 che la truffa seguitava – si scoprono le manipolazioni del tasso LIBOR, il tasso del costo del denaro calcolato sui prestiti interbancari, da parte della HSBC, la più grande banca d’Inghilterra.
Della serie: nessuno si fida più di nessuno in un mondo finanziario dove il sottostante economico reale, la carne, è ormai osso e l’osso se lo spartiscono pochi grossi cagnacci sbavanti, insieme ai flussi migratori di manodopera a basso costo da macellare sul freddo banco della globalizzazione.

Leggetevi questo illuminante articolo sulle reazioni allo scandalo LIBOR della HSBC, ancora molto attuale malgrado tutte le leggende sulla ripresa economica in area UE che ci raccontano, facendo finta che i mercati non siano drogati dal QE per ottenre una stitica inflazione e valori di PIL rasenti l’1%:

 

http://ununiverso.altervista.org/blog/alcuni-dicono-che-il-crollo-bancario-sia-iniziato/

 

I crolli calcolati e sistemici che accompagnano ma non disintegrano il capitalismo finanziario dalla crisi del ‘29 in avanti, vengono anticipati, in genere, dal fuggi fuggi degli investitori/correntisti/gazzelle e del corri corri dei creditori/speculatori/leoni ai ripari.
Le banche finanziarie troppo grandi per fallire, ma non solo, chiudono conti, spostano capitali, licenziano, recuperano sfrattando, rivalendosi immediatamente sulle ipoteche di quelle città o quartieri praticamente vuoti, non imprestando denaro alle imprese, ai privati cittadini e alle banche commerciali, con il quale rioccupare tali spazi, preferendo giocare a carry trade con i Titoli di Stato.

 

Il Carry Trade è il gioco nascosto dai bassi interessi che, con apparente generosità, Draghi elargisce a un’economia reale zombizzata da una roulette speculativa bancaria e dalla bufala dello spread.

 

Un gioco al massacro di chiunque provi a mettere piede nel mercato finanziario o in quello immobiliare, sperando in una giusta e libera concorrenza, nella sacra curva di Phillips o nella rapida monetizzazione di case e locali commerciali.

Invece è tutto molto sleale e soggetto a trading-scalping, tradotto: sciacallaggio…

Si drogano i valori d’asset e si prendono a prestito miliardi in valuta di paesi con tassi di interesse più bassi, per cambiarli in valuta di paesi con un rendimento degli investimenti maggiore, in modo sia da ripagare il debito contratto, sia da ottenere un guadagno con la medesima operazione finanziaria, posizionandosi, rispetto alle forze finanziarie in gioco sul mercato valutario e azionario, in totalitaria asimmetria e in diretta concorrenza contro piccoli e medi risparmiatori. (Ecco spiegato il motivo per cui l’Inghilterra corre di più dopo la Brexit e perché abbia deciso di mantenere la sua valuta e il controllo su di essa)

A questo, inoltre, servono le valute rese forzatamente stabili come lo yen o altrettanto deboli come rublo, rupia e yuan così come i milioni di metri quadrati inaccessibili e inalienabili, dal valore gonfiato, di cui non si conoscono neanche più i proprietari.

Così come è necessario l’intero patrimonio immobiliare di una nazione a garanzia del debito pubblico contratto con le banche interne ed estere: un patrimonio, come quello italiano, ad accezione delle isole felici dei super-ricchi, il cui valore tende a sprofondare per eccesso di offerta causato dall’incremento di disoccupazione, povertà, bassi redditi/pensioni, tasse, crollo della domanda interna e riduzione del potere d’acquisto.

 

Questi patrimoni sono aree urbane private e pubbliche – monumenti storici inclusi – fagocitate da castelli di carta sotto forma di contratti capestri, le nostre Kilamba, la più grande polizza assicurativa planetaria che presto nessuno sarà in grado di onorare in caso di implosione immobiliare, come quella in atto in Cina iniziata nel 2012, ad esempio e di cui nessuno parla più.

 

E quando accadrà il peggio, quando il valore generale di tutti questi beni varrà meno di 1/3 dell’intero ammontare delle polizze che lo assicurano, la socializzazione delle perdite e la privatizzazione dei profitti ci trascineranno in uno scenario di vita identico alle più povere periferie urbane del mondo ai piedi degli skyline, protetti 24 ore su 24 da forze di polizia rigorosamente privata.

48 COMMENTS

  1. Puoi chiedermi liberamente ciò che non hai capito, perché ci sono alcuni aspetti tecnici che ho evidenziato nell’articolo, un po’ complessi.

    Saluti

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