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Elezioni del 25 settembre 2022: un plebiscito contro Draghi

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Elezioni del 25 settembre 2022: un plebiscito contro Draghi

di Luigi Tedeschi

La destra ha vinto. Ma questa è la democrazia dell’alternanza, non certo dell’alternativa. Chiunque si attenda il cambiamento resterà presto deluso. La linea politica del nuovo governo dovrà essere infatti compatibile con le scelte già imposte da vincoli esterni, indipendentemente dall’esito delle elezioni: la UE, la Nato e soprattutto il giudizio dei mercati. Il nuovo governo dovrà attenersi ai programmi già decisi in sede UE con il Pnrr, dovrà uniformarsi all’atlantismo e alla russofobia occidentale e, in caso di scelte non gradite all’establishment, saranno i mercati a imporre la linea politica governativa, pena il default. Quale margine di scelta resta alla politica? Quasi nulla, dato che i paesi occidentali sono governati con il pilota automatico.

Si è agitato lo spettro del fascismo, del pericolo sovranista, dell’estremismo. Ma l’unica deriva estremista di questa destra è quella atlantista: la destra si è opposta alla sinistra in quanto a quest’ultima si è rinfacciato un filo atlantismo troppo moderato. Si evoca inoltre il pericolo del sovranismo di destra già dilagante in Europa. Ma i sovranisti europei (con l’eccezione parziale della Le Pen), avversano l’Europa in quanto non si riconoscono nella UE, ma nella Nato. Il sovranismo europeo si rivela dunque funzionale alla strategia imperialista americana che ha sempre contrastato qualsiasi velleità autonomista dell’Europa.

I rincari energetici e la guerra produrranno presto gravi crisi economico – sociali, che si riveleranno ingovernabili. Pertanto, dinanzi a nuove e gravi emergenze, i vincoli esterni europei imporranno nuovi governi tecnici e/o di unità nazionale. E’ probabile dunque che si verificherà presto la fuoriuscita di Forza Italia e di una Lega desalvinizzata dalla maggioranza di centro – destra, il cui governo si rivelerà da subito debole ed eroso da continue conflittualità interne. E’ quindi ipotizzabile una riedizione a breve di un nuovo governo tecnico guidato da Draghi, o da Cottarelli o da qualche clone finanziario a disposizione.

Il PD, nonostante le ripetute disfatte elettorali, rimane comunque il partito istituzionale che dispone del monopolio della rappresentanza dell’Italia in Europa. La “credibilità” italiana in Europa è garantita dal PD, partito rappresentativo dell’oligarchia tecnocratico – finanziaria cui è devoluta nei fatti la governance dell’Italia. Sono dunque del tutto prevedibili manovre anti – italiane ordite dal PD con l’avallo della UE al fine di destabilizzare il governo italiano.

Le elezioni sono state stravinte da Fratelli d’Italia: l’unico merito della Meloni è stato quello di essere il solo partito di opposizione al governo Draghi. Ma queste elezioni, al di là della vittoria della Meloni, si sono rivelate un plebiscito contro Draghi e i partiti che lo hanno sostenuto. L’impopolarità di Draghi è emersa con evidenza: perfino nei feudi della sinistra gli elettori hanno votato in maggioranza per la destra, manifestando una totale avversione popolare a Draghi e ai suoi ascari. E’ stato lo stesso Draghi a determinare la crisi di governo e a provocare le elezioni anticipate, al fine di sottrarsi alle sue responsabilità politiche all’esplodere della preannunciata drammatica crisi del prossimo autunno. Lo scenario che imporrà la narrazione mediatica ufficiale al manifestarsi della crisi è del tutto prevedibile, anzi scontato: l’Italia del governo Draghi era credibile, europeista e avviata verso la crescita e le riforme, ma con la fuoriuscita di Draghi è esplosa una crisi devastante. Occorrerà dunque, per far fronte alle nuove emergenze, evocare il ritorno improcrastinabile del taumaturgo Draghi.

La crisi istituzionale italiana ed europea è evidente ed ormai irreversibile. Essa è testimoniata dalla astensione record del 36% e dall’esito di un voto che ha premiato l’unico partito di opposizione.

Ma la deriva oligarchica delle istituzioni italiane è lampante. Il sistema democratico è stato di fatto sovvertito, in quanto alla sovranità popolare si antepongono i diktat europei ed atlantici. Ne sono testimonianza le ingerenze americane nella campagna elettorale riguardo a fantomatici finanziamenti russi ai partiti politici sovranisti e l’indebita ingerenza della von der Leyen che ha minacciato di reagire con “strumenti giusti” nei confronti di governi sgraditi alla UE, come è stato fatto con l’Ungheria di Orban.

Tra i popoli e le istituzioni si è creata in Europa una frattura irreversibile. Dalla crisi incombente scaturiranno conflitti sociali insanabili. Ma sarà la crisi della Germania, i cui effetti si riverseranno su tutti i paesi europei, a determinare la destabilizzazione della UE e a rimettere in discussione le scelte filo atlantiche europee. Tale crisi avrà conseguenze sistemiche rilevanti: determinerà la fine del modello economico tedesco, improntato al rigore finanziario e strutturato su di una economia basata sull’export.

Il 25 settembre non è stato il giorno del giudizio universale, come preannunciato dai toni apocalittici dei media in campagna elettorale. Oltre il 25 settembre, come possiamo constatare oggi 26 settembre, che c’è vita. In queste elezioni, data l’elevata percentuale di astenuti, è emersa una vasta area di popolo potenzialmente antagonista al sistema. Trattasi del popolo degli esclusi, marginalizzati dai partiti, ma alla ricerca di un’area politica di riferimento. Chi saprà interpretare le istanze di questo vasto dissenso, per tradurle in un programma politico antagonista credibile e generatore di consenso? Attualmente questo interrogativo resta purtroppo senza risposta.

            LE INUTILI ELEZIONI IN UNA NAZIONE A SOVRANITA’ LIMITATA

di Mario Porrini

Rispetto a tutte le altre elezioni, queste rappresentano uno vero e proprio spartiacque, per le modalità con cui si sono svolte. Questa campagna elettorale, ha certificato ufficialmente che l’Italia non è uno Stato sovrano né indipendente, facendo finalmente cadere il velo che da quasi ottanta anni nascondeva la verità. Questo stato di sostanziale sudditanza dura dal 3 settembre 1943, quando a Cassibile, il Governo Badoglio firmò la resa incondizionata agli Alleati, sancendo, di fatto, la fine dell’indipendenza politica ed economica della nostra nazione. Nel dopoguerra, la nostra classe politica si era divisa nel porsi al servizio degli Stati Untiti e dell’Unione Sovietica, anche se l’Italia, almeno formalmente, risultava titolare di un’apparente sovranità, illusione questa nella quale si è cullata, per decenni, la maggioranza degli italiani, convinta che il nostro paese fosse ancora padrone del proprio destino.

In questo periodo pre-elettorale, come dicevamo, la verità è venuta finalmente a galla nel momento in cui è stato palese come, senza l’approvazione di poteri esterni al nostro paese, ad una parte politica non sarebbe stato permesso di governare. Le previsioni di una schiacciante vittoria del centro-destra hanno scatenato crisi di panico nella sinistra oltre che negli ambienti economico-finanziari nazionali ed internazionali. Preso atto come i soliti allarmi sui pericoli di un ritorno del fascismo, leitmotiv di ogni tornata elettorale, facessero poco presa sulla gente attanagliata da gravissimi problemi economici, politici, industriali, finanziari, assecondati da legioni di giornalisti prezzolati e sostenuti dal quel caravanserraglio del mondo dello spettacolo, composto da influencer, saltimbanchi e ballerine, schierato rigorosamente a sinistra, hanno giocato la carta della inaccettabilità, da parte delle altre nazioni e degli organismi sovranazionali di una eventuale vittoria elettorale del centro-destra.

Tutte le cancellerie occidentali, con in testa l’Amministrazione americana, hanno mostrato viva preoccupazione. Il Financial Times e il Guardian, sono arrivati a profetizzare “conseguenze terribili”, nel caso di una sua vittoria mentre rivista tedesca Stern ha definito Giorgia Meloni “postfascista” e “la donna più pericolosa d’Europa”. Il filosofo Bernard Henry-Lévy, si è detto preoccupato paventando il pericolo di un ritorno del fascismo in Italia e Lars Klingbeil, presidente della Spd tedesca ha dichiarato di considerare Fratelli d’Italia decisamente un partito neofascista. Arrivato per ultimo, proprio a ridosso delle elezioni e per questo ancora più significativo per la gravità delle affermazioni, l’intervento della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per la quale “se  le cose dovessero andare per il verso sbagliato, abbiamo gli strumenti per intervenire” quali per esempio il congelamento dei fondi del Pnrr. Queste pressioni esterne, e minacce di ritorsioni in caso di vittoria di una parte politica a seguito di democratiche consultazioni elettorali, dovrebbero risultare inaccettabili per una nazione indipendente e sovrana. Invece perfino gli esponenti del Centro-Destra – Giorgia Meloni in primis – destinatari di queste minacce, anziché indignarsi e rispedire al mittente tutte le accuse come irricevibili in quanto provenienti da Stati ed organizzazioni estere e tese ad influenzare l’esito del voto, si sono affannati a rassicurare tutti come queste preoccupazioni fossero assolutamente infondate e garantendo che anche quei partiti, impropriamente chiamati “sovranisti”, in caso di vittoria, avrebbero mantenuto saldamente il nostro paese nell’ambito occidentale, fedele alla NATO ed all’Ue, indissolubilmente legato alle organizzazioni economico-finanziarie internazionali e pronto a seguirne la direttive, comprese le folli ed autolesionistiche sanzioni alla Russia. Insomma una sottomissione completa, intesa come prezzo da pagare per avere il permesso di formare un governo che eseguirà gli ordini di chi questo permesso ha concesso.

La crescente percentuale di astenuti, dimostra come una larga fetta della popolazione non creda più nell’utilità delle votazioni ma il centro-destra e la Meloni in particolare, hanno ora ottenuto un pieno mandato per dare un taglio netto alle politiche antinazionali attuate fino ad ora dai vari esecutivi che si sono succeduti negli ultimi anni. Sta a lei decidere se ripagare la fiducia che la maggioranza dei votanti le ha concesso oppure farsi dettare l’agenda di governo da chi è nemico suo ma soprattutto dell’Italia, dando così ragione a chi decide di disertare le urne.

SunTzu, nel suo “L’arte della guerra” ammoniva: “Quando il nemico ti ha portato a combatterlo con le armi da lui scelte, a usare il linguaggio che lui ha inventato, a farti cercare soluzioni tra le regole che lui ha imposto, hai perso tutte le battaglie, compresa quella che avresti potuto vincere”.

Draghi-bis, come Mattarella

di Stefano De Rosa

Dal 2008, quella parvenza di sovranità attribuita dalla Costituzione al popolo ha lasciato il posto ad una democrazia putativa. L’esito del voto del 25 settembre all’apparenza netto potrebbe perpetuarla.

Le urne si sono chiuse da poche ore. Le operazioni di spoglio iniziate alle 23:00 procedono, more solito, con lentezza e con i collaudati disservizi. I trend-poll, gli exit-poll e le prime proiezioni sui dati effettivi confermano, nella sostanza, i risultati più scontati: la vittoria del centrodestra (al 44%), la netta affermazione di Fratelli d’Italia come primo partito (al 26%) ed un astensionismo record con un’affluenza crollata al 63,9%.

Il Pd stimato al 19% con +Europa al 3% e i rossoverdi al 3,5% collocano il cartello di centrosinistra intorno al 26%. Il terzo polo di Azione e Italia viva si assesta al 7-8% ed il M5S intorno ad un insperato 15-16%.

Sulle ali estreme, Italexit e Unione popolare, che tante speranze avevano alimentato in un elettorato, potenzialmente promettente, in crisi di astinenza da opposizione, si sono dovute arrendere alla logica del voto utile (insieme avrebbero superato lo sbarramento) e all’altrettanto colpevole lassismo di un popolo a disagio con l’esercizio della democrazia volitiva.

Ad una prima considerazione – prescindendo cioè dal computo dei voti in ogni singolo collegio uninominale che potrebbe riservare più di una sorpresa, soprattutto al Senato – i dati provvisori consegnano un risultato che recepisce un clamoroso travaso di suffragi tra le forze di centrodestra rispetto al voto politico del 2018 e a quello europeo del 2019, nonché un fallimento delle politiche di alleanze “ante voto” a sinistra.

Tutto chiaro, dunque? Tutto tranquillo e liscio per i prossimi cinque anni di legislatura? Non proprio. Il voto popolare, a volte, quando assurge ad anomalia rispetto al normale ed atteso (dalla sinistra perbenista) flusso degli eventi si trasforma in un intralcio, anzi in un errore inammissibile da rimuovere per ricondurre il corso ineluttabile della storia nel suo alveo correttamente dragato.

Non saranno sfuggiti agli attenti osservatori alcuni accadimenti intervenuti negli ultimi giorni della scadente campagna elettorale, a dimostrazione che il colonialismo esibito dai vincoli esterni a scapito della sovranità italiana, ormai solo putativa, non intende mollare la presa e non disdegna nuove occasioni di becero esercizio. Ciò a dispetto della sbandierata autodeterminazione dei popoli tanto invocata, invece, per la vicenda ucraina.

Si pensi ai rapporti diffusi ad orologeria dall’intelligence Usa – interferenza, anzi benevolo avvertimento, sul voto italiano – sull’influenza elettorale russa nel mondo prontamente cavalcati dalle anime belle della sinistra immacolata; si pensi al voto sensibile sull’Ungheria calendarizzato al Parlamento europeo a pochi giorni dalle elezioni del 25 settembre; si pensi, inoltre, al rifugio privo di dignità del segretario Pd a Berlino per ricevere sostegno e protezione dalla Spd contro l’incombente pericolo fascista.

Ma si presti attenzione soprattutto a Mario Draghi. Venerdì 16 settembre, durante la conferenza-stampa di illustrazione del decreto Aiuti-ter, alla ingenua domanda di una giornalista se fosse disponibile ad un secondo mandato a palazzo Chigi, l’ex presidente della Bce rispose con un inappellabile “no”. Un po’ troppo perentorio, forse pianificato.

Molti politici e commentatori evidenziarono l’imbarazzo (prontamente minimizzato da Calenda) che la dichiarazione avrebbe prodotto a sinistra e soprattutto nel cosiddetto terzo polo per non poter più disporre dell’alfiere su cui puntare dopo il voto. Un’indisponibilità ironicamente ribadita qualche giorno dopo a New York allorquando, nel corso del conferimento del premio “World Statesmen” ricevuto dal rabbino Schneier, Draghi, in risposta alla richiesta di questi che rimanesse in veste di fattore di stabilità di cui l’Italia ha bisogno, non trattenne una risata forse concordata.

Anche qui, tutto certo, tutto definito? Non esattamente. Si tratterebbe soltanto di un déjà vu, del quale le cronache ancora mantengono viva memoria. Crediamo, difatti, che il pronto diniego draghiano sia stato solo una riproposizione dei ripetuti “no” di Sergio Mattarella ad un secondo settennato al Colle. Sappiamo come è finita, nonostante la pantomima dei discorsi ufficiali, degli scatoloni e degli apparenti traslochi.

La ciliegina avvelenata sulla torta della sovranità violata da servire come una cortese bomba ad orologeria è arrivata, a due giorni dal voto, dalla presidente della Commissione europea la quale, riferendosi al risultato del voto in Italia, ha affermato che se le cose andassero in una direzione difficile l’Unione europea ha degli strumenti per intervenire, come nel caso di Polonia e Ungheria. Parlare di “pizzino” potrebbe apparire irriverente, se riferito ad una nobildonna, ma di certo la minacciosa tutela della cupola oligarchica europea (la stessa del riparo berlinese di Letta) sulla democrazia italiana non lascia presagire un’istituzionale ed autonoma investitura governativa da parte di un sistema parlamentare pienamente sovrano. E soprattutto una sua fisiologica durata.

La pronta e piccata replica in salsa sovranista di Renzi alla presidente della Commissione europea sul nostro libero gioco democratico è da leggere, invero, come un divieto di ingerenza in un campo – quello di affossare governi e varare maggioranze arcobaleno – nel quale l’ex rottamatore non tollera intromissioni interne o concorrenze esterne. Il discreto risultato conseguito dall’alleanza Azione – Italia viva potrebbe avvalorare questo sentimento.

Non è un caso se, tra il serio e il faceto, pochi giorni prima abbia bonariamente ricordato a Meloni che è sua consuetudine ogni due anni far cadere un esecutivo. Considerando che nel 2019 estromise Salvini dal governo, che nel 2021 innalzò Draghi a palazzo Chigi, che il bis dell’ex Bce è nella disponibilità del Capo dello Stato e che nel 2015 lo stesso Renzi impose Mattarella al Quirinale (con tanto di replica nel 2022), è facile arguire che la certezza sulla durata quinquennale del contratto di affitto di Meloni nei locali di Piazza Colonna non sia così scontata. Un brocardo latino ben conosciuto dagli studenti di diritto civile recita: “dies certus an incertus quando”. Anche se non si conosce il giorno esatto, è solo questione di tempo.

I recenti accadimenti ai quali abbiamo fatto sommariamente cenno potrebbero costituire il quadro di contesto di un’altra somma “post voto”, quella tra tutte le forze non di centrodestra: Pd, rossoverdi, +Europa, M5S e terzo polo nel loro insieme ammontano a quasi il 50% del voto nazionale.

Considerando che per la leadership leghista – stante un dato inferiore al 10% – si prospetta una prossima resa dei conti interna dalle inevitabili conseguenze sulla composizione dei gruppi parlamentari, la recente dichiarazione di Berlusconi sullo smarcamento da un futuro governo di centrodestra critico verso europeismo ed atlantismo rappresenta – se ci fosse bisogno di ulteriore conferma – un ulteriore tassello di uno scenario scivoloso non solo possibile, ma molto probabile. Specialmente se il Cavaliere ed il drappello dei moderati dovessero risultare determinanti, col loro pacchetto di voti graditi a Washington e Bruxelles, in una delle due camere.

L’unica chance di donna Giorgia per non finire stritolata da poteri ostili ed evitare un Draghi-bis con Draghi o con un Cottarelli qualsiasi è quella – come ha già dimostrato di fare egregiamente in politica estera ed in economia – di seguire il solco tracciato dall’aratro e dalla spada draghiani e difenderlo con la fede dei cuori di chi l’ha votata. Insomma, un Draghi-bis sotto mentite spoglie. A proposito di spoils system, anch’esso putativo.

 

 

 

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