Oggi, la storia si è rimessa in moto, e chissà, che i semi lasciati da Costanzo Preve non si trasformino in un bosco che fermi il deserto che avanza.
Oggi ricorre l’undicesimo anniversario della morte di Costanzo Preve. È stato uno dei filosofi più importanti e significativi del dopoguerra, anche se poco noto, anche a causa del vergognoso ostracismo nei suoi confronti da parte della sinistra come ha scritto Carlo Formenti, di certo molto più noto al pubblico. Ma differenza di tanti dal successo effimero, ha lasciato dei semi, anche se questi semi hanno prodotto degli alberi bruttarelli e mal messi come era inevitabile nel terreno semi-desertico della subordinazione italiana agli Usa (ma è un problema strutturale dell’intera Europa). Possiamo dire che quel poco di opposizione reale che esiste in Italia è stata influenzata dal pensiero di Preve. Oggi, la storia si è rimessa in moto, e chissà, se passeremo indenni la notte del mondo che si sta approssimando, non si rimescoli il terreno e non si creino nei prossimi decenni le condizioni per cui i semi lasciati da Preve non si trasformino in un bosco che fermi il deserto che avanza.
Preve proveniva dalla sinistra marxista, e con il “crollo del comunismo” intraprese un percorso di ripensamento del comunismo, come era necessario, e, se vogliamo, anche ovvio fare, ma che pochissimo hanno intrapreso. In questa occasione, non posso fare un’analisi della sua eredità filosofica, ma ne ho scritto e parlato per esteso in varie altre occasioni, soprattutto in merito al suddetto ripensamento, in estrema sintesi Preve applicava al marxismo la stessa critica di Hegel alla rivoluzione francese, ovvero quella “furia del dileguare” che passava dall’individuo al genere saltando le “comunità intermedie” costituite dalla famiglia, dalle classi sociali, e dallo Stato.
L’essere umano è un essere sociale, politico e comunitario secondo la definizione aristotelica (zoon politikon, che tiene insieme i tre significati), ma questo suo essere sociale si estrinseca sempre in comunità determinate che sono costitutive della socialità e non possono essere “saltate”. Questo significa il “comunitarismo” in Preve, non certo guardare alle comunità rurali o il ritorno a “comunità organiche”. Preve è stato soprattutto un pensatore del periodo della “globalizzazione” che è già terminato, egli vedeva che erano soprattutto gli Stati a contrapporsi al rullo compressore della globalizzazione, ed elaborò delle categorie per pensare la questione nazionale, e per farlo adeguatamente era necessaria questa correzione “comunitaristica” del marxismo. Oggi terminato il periodo la globalizzazione, vediamo l’emergere di un nuovo fenomeno, ovvero il ritorno delle civiltà.
Tutte le potenze che si oppongono o che perseguono l’autonomia rispetto al dominio statunitense sono eredi delle grandi civiltà storiche, dalla Cina, alla Russia, all’India all’Iran, e se vogliamo anche potenze come la Turchia dal comportamento ondivago, ma certo molto più autonome rispetto all’Europa. La Cina stessa si autodefinisce non stato-nazione, ma stato-civiltà. La civiltà e l’identità culturale è qualcosa che va al di là dello stato-nazione. Ma possiamo pensare in termini previani l’appartenenza ad una determinata civiltà come un carattere costitutivo dell’essere umano in quanto essere comunitario.