Cronaca di una morte annunciata e delle ennesime esplosioni di violenza
Nanterre 23 Giugno mattino, un controllo di polizia. Un’auto con tre giovani viene fermata da due agenti armi in pugno. Poi tutto precipita all’improvviso. La macchina riparte e accelera improvvisamente. La reazione è altrettanto repentina, un colpo di pistola attraversa trasversalmente la portiera. Nahel, un ragazzo di 17 anni, viene mortalmente ferito e spira poco dopo, mentre la macchina finisce la sua corsa contro un palo.
Sarebbe un terribile episodio di ordinaria follia, di utilizzo improprio delle armi da parte della polizia, forse una risposta spropositata ed assassina a fronte di una reazione improvvisa ed inaspettata da parte del ragazzo alla guida della macchina, che riparte improvvisamente per evitare un controllo inopportuno o per una innata ostilità verso la divisa; nella fattispecie quella di un “flic”, tutto potrebbe concludersi con l’incriminazione dell’agente, la reazione comprensibile di genitori, parenti, amici della vittima e un più o meno lungo iter giudiziario finalizzato a chiarire i fatti e le responsabilità. Questo forse altrove, ma non in Francia, dove il clima di tensione, che serpeggia, a macchia di leopardo, in svariate aree cittadine, può trasformare la situazione più banale in tragedia, un semplice controllo in una “morte annunciata”; non negli States, non in sempre più stati europei, dove il fuoco cova sotto la cenere.
Come nel 2005, come in tantissime altre occasioni, a volte causate da una operazione di polizia per reprimere spaccio o azioni del crimine organizzato, o da un doveroso intervento a fronte di una aggressione o di una rissa, si scatena il caos, la violenza incontrollata ed incontrollabile.
La rabbia delle banlieue si scatena contro i simboli della stessa Repubblica, tuona il Ministro egli Interni Gerald Darmanin, che mobilita 45.000 agenti di polizia per garantire l’ordine e reprimere eventuali azioni di guerriglia, il Presidente Macron rincara la dose e denuncia la violenza contro le istituzioni repubblicane.
Dopo la morte del giovane Nahel, in rapida sequenza si è assistito ad una esplosione di guerriglia urbana in tutta la Francia che ha visto assaltare il carcere di Fresnes, scontri ed incendi a Villurbane, Clichy la Garenne e a Drancy, saccheggi e furti a Aulnay-sous-Bois, a Argenteuil, nell’Ile de France, auto incendiate a Seine et Marne, un ufficio dell’azienda elettrica, numerosi veicoli e negozi bruciati a Nanterre e a Lille, a Nantes un supermercato della Lidl è stato saccheggiato, usando un’auto come ariete per scardinare la serranda. A Marsiglia un’armeria, un negozio Apple e uno Sephora, barricate a Mulhouse, a Vanves e a Courneuve, distrutta una stazione di polizia a Meudon, assaltati i Commissariati di Gennevilliers, di Roubaix e di Dammarie les Lys, di Reims e la sede del Comune di Montreuil, bruciata la Stazione ferroviaria di Garges Sarcelles e le sedi delle Municipalità di Mantes la Joile, Evry Courcouronnes, Lille e di Mons en Baroeul, autobus a Viry Chatillon e a Blanc Mesnil, un tram a Clamart, una scuola a Bezons, sedi di associazioni culturali a Yvelines, La polizia in assetto antisommossa è stata bersagliata da razzi, petardi, bombe carta a Grigny, Issy les Molineaux, Essonne, Bressuire, Deux-Sèvres, stesso trattamento viene praticato ai pompieri, che intervengono per spegnere gli incendi a Noisy le Grand e Trappes e in molte altre località, colpi di fucile hanno messo fuori servizio le telecamere di sorveglianza a Vigneux sur Seine.
In tutta la Francia infuriano disordini per l’omicidio dell’adolescente di 17 anni da parte della polizia: gruppi di dimostranti distruggono negozi, incendiano edifici amministrativi e autobus e si scontrano con le forze dell’ordine.
La folla manifesta non solo a Parigi, dove si sono verificati atti di vandalismo e saccheggio impressionanti, tra autobus incendiati e negozi di abbigliamento devastati, ma anche in altre grandi città della Francia: i disordini hanno travolto Marsiglia, Lione, Strasburgo, Dijon, Orléans, Bordeaux, Nizza, Roubaix, Amiens, Tolosa, Rennes, Nantes e altre località del Paese. La polizia ha effettuato migliaia di arresti e svariate centinaia di agenti sono rimasti feriti negli scontri.
Per avere un’idea delle dimensioni della rivolta in atto, degli scontri e dei saccheggi, In tutta la Francia, sono stati attaccati centinaia di commissariati, caserme della gendarmeria e sedi della polizia municipale, mentre sono stati migliaia gli incendi su strade pubbliche, tra veicoli, edifici e arredo urbano, migliaia di punti vendita, centinaia di sportelli bancari, supermercati, negozi di sport, moda, fast food, gioiellerie. Un gravissimo episodio è avvenuto a L’Haÿ-les-Roses, dove la casa del sindaco è stata vandalizzata. Il sindaco non c’era ma sua moglie e i suoi figli sono stati presi di mira. La locale Procura ha aperto un fascicolo per tentato omicidio.
Sempre per poter avere un dato di riferimento, le perdite per i commercianti nella sola regione di Aix – Marsiglia sono stimate superiori ai cento milioni di euro. A Marsiglia sono stati assaltati quasi 400 negozi.
Secondo alcuni rapporti, le autorità francesi hanno valutato la possibilità di introdurre la legge marziale, in alcune città è stato già imposto il coprifuoco e il Ministro egli Interni Gerald Darmanin ha invitato i Sindaci dei Comuni, teatro delle violenze, di sospendere il trasporto pubblico locale, metropolitane, autobus e tram dalle 18.00 a fine turno. IlRN,presidente Emmanuel Macron ha tenuto una riunione d’urgenza della cellula interministeriale di crisi, per affrontare la situazione e prendere i necessari provvedimenti, dichiarando come l’uccisione del giovane sia “inspiegabile” ed “imperdonabile”. A stretto giro risponde Marine Le Pen che ritiene che le osservazioni di Macron siano “molto eccessive” e “irresponsabili” “L’atto è imperdonabile? È inspiegabile? Spetta alla giustizia rispondere” prosegue il leader del RN, che conclude affermando “Il presidente è pronto a dimenticare i principi costituzionali nel tentativo di estinguere un potenziale incendio”. Mentre Melenchon chiede “giustizia” e la sospensione del poliziotto “assassino”. Thomas Portes sempre di LFI afferma che “si tratta di una esecuzione sommaria”. Il deputato Verde Sandrine Rousseau dichiara “un rifiuto di obbedire non deve essere una condanna a morte”.
L’uccisione di Nahel non ha avuto solo ripercussioni all’interno della Francia, ma anche a livello internazionale si hanno importanti ripercussioni. Il Ministro algerino per gli Affari Esteri ha espresso tutto il suo sgomento per la tragedia, Interessante e pieno di significati il passaggio della nota ufficiale inviata da Algeri a Parigi a seguito della morte del giovane di origine algerina ma nato a Nanterre, e cresciuto nella periferia parigina, dove si evidenzia la particolare preoccupazione per le circostanze che hanno determinato l’evento luttuoso. Il ministro esorta il governo francese ad assumere pienamente il carico della responsabilità nella protezione degli algerini di Francia, affermando di essere “fortemente preoccupato per la tranquillità e la sicurezza di cui i nostri connazionali devono beneficiare nel Paese ospitante“, il comunicato del Ministero algerino conclude dichiarando “di essere al fianco dei membri della comunità nazionale nei momenti di avversità e di prova”.
Né le azioni della polizia né le misure politiche hanno ancora portato risultati definitivi: i disordini nel Paese seppur diminuiscono di intensità, tuttavia la tensione è ancora palpabile e il fuoco cova perennemente sotto la cenere.
Ovviamente non ci anima nessuna volontà giustizialista, censoria o garantista, saranno le indagini a tentare di comprenderne la dinamica ed individuarne le responsabilità. Vorremmo una giustizia giusta non facile strumento del potere costituito che la utilizza a proprio gradimento, come arma di distrazione di massa o strumento per attenuare tensioni sociali con “pene esemplari”. Tuttavia è evidente che il problema non è semplicemente giudiziario. I casi di rivolte, che coinvolgono strati di popolazione emarginata, disperata, violenta, carica di odio e pronta a tutto, non sono eccezionali, né tanto meno necessitano di episodi di questa gravità per attivarsi. A volte basta un intervento della polizia, dei pompieri o di una semplice ambulanza che varchi i confini non evidenziati, ma ben delineati nell’immaginario collettivo degli abitanti delle banlieue per scatenare scontri, guerriglia metropolita in un clima di costante tensione ed insicurezza.
In effetti si tratta della ennesima prova del fallimento delle società multietniche. Se negli States, unica nazione ove l’esistenza di una popolazione eterogenea costituita da una multiformità etnica è determinata dalla sua storia e dalla sua stessa ragione d’essere, basta che si spenga improvvisamente la luce, per un inaspettato blackout, per attivare uno scontro violento a base di saccheggi, distruzioni, incendi, furti tra afroamericani contro asiatici, latinos contro wasp, coreani contro afro e via declinando tutte le possibili combinazioni, esclusi dalla mischia ovviamente i “nativi”, che numericamente sono diventati irrilevanti, la situazione francese non è troppo diversa. Le periferie delle città transalpine abitate in maggioranza da discendenti di seconda, terza e quarta generazione delle ex colonie oppure da immigrati giunti di recente dagli stessi paesi, spesso sans papier e senza diritti e doveri, non hanno solo un tasso elevato di criminalità, un basso e precario livello di occupazione e di istruzione, ma anche una elevata probabilità che in esse si annidino nuclei radicalizzati e organizzazioni comunque da monitorare attentamente. Buona parte degli eventi violenti che sono avvenuti in territorio francese hanno avuto protagonisti diretti od indiretti provenienti dalle banlieue o comunque che in questi quartieri hanno trovato rifugio, accoglienza ed appoggio. In effetti le periferie francesi sono la conferma del fallimento di una società che vuole dichiararsi inclusiva e finalizzata all’integrazione, ma che in realtà produce emarginazione, sradicamento e un odio represso verso le istituzioni, i suoi simboli, i suoi rappresentanti, sempre pronto a sfociare in azioni violente, rivolte, saccheggi e scontri. Indicativo che solitamente, nel periodo delle settimanali manifestazioni dei “gilet jaunes”, le autorità di polizia interrompevano le corse delle metropolitane dalla banlieue ai centri cittadini e viceversa onde evitare o per lo meno mitigare le conseguenze del trasferimento di bande violente ed incontrollate verso aree che le istituzioni volevano salvaguardare con questo emblematico cordone sanitario. In effetti, per le elites dominanti, questi giovani, ricordiamoci che l’età media dei partecipanti a scontri e saccheggi è di 17 anni, sono il residuo di scarto del sistema imposto dallo stesso capitalismo finanziario, fastidiosi per il ceto medio urbano che ne subisce l’impatto sull’aumento esponenziale della microcriminalità, ma assolutamente innocui allo stereotipo del radical chic e dei detentori del potere in genere, che frequentano aree territoriali diverse e che quindi ne reprimono e ne limitano gli eccessi essenzialmente ed unicamente quando superano i confini della “riserva” ove sono relegati. Non si deve tuttavia individuare le cause esclusivamente nell’implosione di un modello di “integrazione”. Altri elementi vanno a sovrapporsi nel perfetto connubio tra il mantenimento della democrazia borghese e la sua capacità di tenere ai margini i nuovi schiavi, ghettizzandoli e negando loro ogni possibilità di futuro, utilizzando a pieno regime la macchina repressiva, non a tutela gli autoctoni, ma degli affari correnti della classe al potere. In pratica un perfetto esempio di ottimizzazione delle risorse, almeno finora. Citando più o meno a braccia un interessante “redazionale” di Kulturaeuropa.
Lo stesso odio represso è presente anche nelle ex colonie, dove l’inclusivo, democratico governo francese mantiene rendite di posizione grazie al Franco CFA o comunque supportando elites corrotte che tutelano gli affari delle società d’Oltralpe, elites pronte tuttavia a vendersi al miglior offerente in una poco ideale asta che vede quali concorrenti la stessa Francia, in concorrenza con cinesi, russi, statunitensi, tutti dimentichi dei legittimi interessi delle popolazioni coinvolte e tutti dimentichi delle conseguenze di un fenomeno migratorio che si vuole favorire al prezzo dell’annichilimento delle nazioni d’origine, delle loro reali possibilità di sviluppo, di scrollarsi di dosso una classe politica parassitaria ed inetta, del dumping sociale che intacca il peculiare welfare europeo, creando aree di emarginazione e sradicamento.
Quindi la Francia brucia nuovamente e dopo i “gilet jaunes”, il grande scontro sociale per le pensioni, ora l’attenzione si sposta sulle banlieue e le violente conseguenze di una mancata ed impossibile integrazione, ma in realtà si tratta di tasselli separati di un unico mosaico e i tre scenari rappresentano tre aree diverse di una tensione che viaggia sottotraccia e che conferma una crisi endogena del democrazia rappresentativa di tipo liberale. Questo nel vuoto pneumatico della classe politica in genere, a parte una piccola componente ideologizzata ed emarginata della sinistra apparentemente non conforme, ma che sappiamo solita, a comando, adeguarsi al volere del capitalismo imprenditoriale o finanziario che sia.
Questo lo stato dell’arte al momento di andare in stampa, mentre viene forse evitata la proclamazione della legge marziale, ma certamente non è finita qua e se non saranno notti di fuoco, sotto la cenere qualcosa continuerà ad ardere.