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Politicamente corretto, pubblicità sovranismo

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L’Occidente liberale ha assimilato la possibilità della ribellione contro la repressione come elemento funzionale al capitalismo nella sua fase consumistica.

Da un punto di vista lacaniano, il cambiamento del linguaggio può determinare il cambiamento del pensiero. Ma, al di là dei suoi complessi presupposti filosofici, è interessante notare che esso si è affermato negli stessi campus degli States che negli anni sessanta partorirono la rivolta pacifista contro la guerra i Vietnam e la circolazione della controcultura. Soltanto che allora si strappavano i manifesti che suggerivano le regole del rispetto reciproco, mentre negli anni ottanta erano gli stessi studenti che li affiggevano. Sul politicamente corretto sono stati scritti saggi e tesi di laurea, ma il punto essenziale dal quale esso di fatto prende le mosse, è che noi percepiamo la nostra identità parzialmente in base allo sguardo altrui, che passa attraverso il linguaggio.

Va da sé che parole ed espressioni quali cieco, storpio, frocio, negro, vanno censurate a favore di disabile, omosessuale, afro-americano ecc.

Su questa nozione di solidarietà debole, nel senso del pensiero debole, si fonda la dottrina dell’ inclusività che indirettamente si oppone ad una nozione forte di solidarietà, alternativa all’individualismo borghese, tipica del movimento operaio e socialista del secolo scorso. Per inciso, anche la parola capitalista, che suggerisce l’idea di sfruttamento, viene abolita a favore di quella di imprenditore, di cui, fra l’altro, si decantano nei casi più clamorosi gli immensi profitti e la loro visionarietà. THurow, uno dei massimi teorici della new economy, sosteneva che l’accaparramento di grandi ricchezze avrebbe reincantato il mondo dopo la fine dei grandi ideali degli anni sessanta.

Ma al giorno d’oggi il politicamente corretto ha ampliato i suoi significati ed il suo campo di intervento includendo l’ecologismo, il femminismo, l’animalismo e anche la controcultura, naturalmente depurata dal suo individualismo sovversivoide, celebrato nel cult movie Easy rider, inserito nella cineteca ufficiale dell’ American dream.

Naturalmente non si tratta di negare le emergenze ambientali, né tantomeno la consapevolezza della dignità intrinseca di ogni essere vivente.

Il problema è che la narrazione del politicamente corretto maschera le terribili differenze economiche e sociali causate dalle politiche neo-liberiste.

Di converso, le stesse argomentazioni del politicamente corretto diventano oggetto di business.

Sfruttando i timori per i cambiamenti climatici, gli spoat pubblicitari assicurano l’eco sostenibilità dei prodotti offerti, contribuendo a generare l’ideologia green, ovvero la dittatura dell’economia cartacea e usuraia sull’economia reale, delocalizzando la produzione dove il costo della forza lavoro è infimo. Da notare inoltre che gli spoat vengono spesso e volentieri intramezzati da presunte comunicazioni sociali, aventi ad oggetto i soggetti fragili e le loro difficoltà. Come abbiamo premesso si tratta di una forma di solidarietà debole, tipica del pensiero debole e funzionale al capitalismo contemporaneo.

Una forma di rivolta contro il paradigma globalista e pseudo multiculturale del politicamente corretto, potrebbe essere considerato il consenso dato a partiti a partiti di destra che si autoproclamano sovranisti alle ultime elezioni europee, dove ha votato meno della metà dei cittadini aventi diritto.

In realtà non è possibile nessun autentico sovranismo perché, nonostante gli sconvolgimenti geopolitici in corso, la globalizzazione capitalista continua. Ne è un esempio l’alzata di scudi mondiale per le azioni di sabotaggio dei ribelli yemeniti che ostacolano la sacra circolazione delle merci.

Svuotato del suo contenuto economico e culturale, il sovranismo degenera in una sorta di commercializzazione patologica. Gli spoat giurano sull’italianità dei prodotti enogastronomici, confidando sulla legittima diffidenza delle schifezze che arrivano dall’est o da quelle imposte dalla Comunità europea.

Prolifera ossessivamente l’espressione eccellenza italiana. Riferita non solo agli alimenti, ma anche al nostro patrimonio culturale ed artistico, mentre le nostre città d’arte sono ridotte a luna park, per la gioia di albergatori, ristoratori e turisti armati di smart phone.

Per scongiurare il senso di spaesamento e la fine di ogni identità collettiva, per dirla con Alain de Benoist, si punta alla riscoperta delle tradizioni popolari, come le feste del patrono, sempre per la gioia di albergatori, ristoratori, turisti.

E’ in corso una campagna mediatica per la riscoperta dei valori della famiglia e della religione, senza ovviamente nessun intento spirituale, ma al fine di coesione sociale.

Veniamo adesso agli ammiccamenti del politicamente corretto verso la controcultura.

Notiamo innanzitutto che spoat e servizi giornalistici hanno come sfondo musicale le hits della controcultura. Sopravvissuti a se stessi gli uomini di quella stagione vengono paventati come leggende viventi. Per ogni concerto dei Rolling stones, ogni TG gli dedica servizi apologetici.

Il nostro Vasco Rossi, simbolo del ribellismo giovanile, nichilistico e drogastico degli anni ottanta viene erto a istituzione esistenziale

Non si tratta solo di una operazione di nostalgia. Sta a significare che l’Occidente liberale ha assimilato la possibilità della ribellione contro la repressione (elemento funzionale al capitalismo nella sua fase consumistica, secondo la magistrale interpretazione di Cristopher Lasch) politicamente corretta, da opporre ai presunti regimi autocratici fondati sulla repressione.

Con ringraziamenti all’amico e filosofo Luigi Tedeschi, Stefano Boninsegni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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