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Il processo involutivo e la seduzione nichilistica

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Intervista ad Adriano Segatori, autore del libro, con Daniela Gulino “Il processo involutivo e la seduzione nichilistica”, Settimo Sigillo, a cura di Luigi Tedeschi

1) L’era moderna inizia con l’Illuminismo. L’ideologia individualista ed il mito del progresso illimitato, quale motore della storia, hanno condotto alla progressiva dissoluzione della dimensione del sacro. Ad una visione del mondo fondata sulla trascendenza si contrappone dunque un’altra religione laica. Tuttavia oggi, la morte di Dio ha fatto venir meno anche il diavolo, quale entità rappresentativa del male rispetto al bene. Lo stesso ateismo quindi scompare, dato che ha la sua ragion d’essere unicamente come negazione di Dio. Non siamo al di là del bene e del male, ma al di fuori e al di sotto di essi. Oggi l’ateismo ideologico strutturato (magistralmente riassunto nella frase di Fëdor Dostoevskij, secondo cui “Se non c’è Dio, io sono Dio.”), così come le prospettive superomistiche nietzschiane non si configurano come un retaggio di una cultura dei secoli scorsi ormai scomparsa, in un’epoca di nichilismo compiuto in cui l’uomo è concepito come materia prima, oggetto di ingegneria sociale e di sperimentazione scientifica transumanista?

Forse la perdita del Sacro è derivata dall’avvento del Cristianesimo. Potrà sembrare un paradosso, ma l’incipit di questa scomparsa è presente nelle Sacre Scritture. È alla voce di Jahvé che è attribuita la famosa legge per gli uomini “Sottomettetela!” in riferimento alla terra, in aggiunta al loro dominio su tutto ciò che sulla terra vive. Con questa prescrizione, quella che l’uomo aveva sempre percepito come una religiosità diffusa, cosmica, con la presenza perenne del divino in tutte le cose materiali e immateriali, finisce per disgregarsi. Il patto di compenetrazione, di fusione tra il visibile e l’invisibile, si conclude traumaticamente nella scissione tra sacro e profano. Mircea Eliade riassume perfettamente questa condizione di armonia tra uomo, ambiente e divinità: “L’uomo delle società arcaiche tende a vivere il più possibile nel sacro o nell’intimità degli oggetti consacrati. L’uomo moderno ha desacralizzato il suo mondo e ha deciso d vivere un’esistenza profana”.

C’è un bellissimo disegno colorato apparso su una pagina di FB con due bambine davanti a due piante: una bambina che prega mesta davanti ad una piantina striminzita e un’altra serena e positiva che innaffia una pianta rigogliosa. Il messaggio simbolico è chiaro: è con l’attiva partecipazione che la vita diventa produttiva e rigogliosa, non certo con la passiva accettazione del destino e della predestinazione. Così, è con la connessione consapevole al sacro, alla trascendenza, che l’esistenza si trasforma in vita, quindi progetto di destino verso l’alto, e non certo programmazione lineare di tipo vegetativo, magari con cadute verso il basso – come per altro sta accadendo. Il sacro è la vita vissuta nella totalità, non l’esercizio saltuario di qualche preghierina o partecipazione teatrale alle esibizioni comandate.

A mio avviso, le considerazioni che “se Dio non esiste, tutto è permesso” di Ivan Karamazov, e che “Dio è morto” di Nietzsche, possono essere interpretate in diversi modi. La prima la decodifico come un avvertimento: attenti a negare una trascendenza e un limite, perché il rischio è la degenerazione, l’aberrazione; la seconda, come un aforisma profetico sulla fine di un Occidente privato di un centro cosmico di superiore totalità.

Per quanto riguarda tutta l’ideologia transumanista in pieno sviluppo e a diffusione pervasiva, essa è collegabile alla coppia dio/diavolo a cui hai accennato. Trovo splendida l’immagine dell’“Uovo” con l’uomo in mezzo tra due aperture in alto – il trascendente – e in basso – l’infero. Quando la superiore si chiude il vuoto è riempito dagli influssi dal basso: e noi siamo in pieno fenomeno di regressione dall’umano con la prevalenza del subumano, spacciato per transumanesimo.

 

2) La falsificazione mediatica della realtà è resa possibile dal consenso delle masse. Gli effetti mediatici si basano su meccanismi predeterminati da stereotipi profondamente radicati nella psicologia delle masse, che presiedono alla interpretazione della realtà. Affermò infatti Gilbert Keith Chesterton che “Quando la gente smette di credere in Dio, non è vero che non crede in niente, perché crede in tutto”. Immagini virtuali, parole evocative, forme di emotività collettiva scaturita dalla logica del branco, sono elementi atti a generare emozioni che determinano l’assenso o il rifiuto di ogni cosa, a prescindere da qualsiasi giudizio sui contenuti specifici. Secondo te, l’attuale assuefazione massmediatica, non ha le sue radici nell’impatto emotivo suscitato da simboli spacciati dalle istituzioni per idee forza (metodo antico quanto l’uomo), allo scopo di assoggettare le masse, prescindendo dai loro fondamenti, teologici o ideologici assai spesso manipolati, falsificati, o traditi dalle classi dirigenti? Non si ha fede nella chiesa, nel partito o nell’immagine mediatica del leader, piuttosto che nei contenuti etico – sacrali – culturali che dovrebbero rappresentare (oggi ridotti alla coreografia virtuale tipica della “società dello spettacolo)?

 

Tutto è fluido nella contemporaneità: le amicizie nei social, i concorsi pubblici, l’idea di bellezza, la comunicazione massmediale, le motivazioni delle guerre e le condizioni della pace, la letteratura e la saggistica. È fluido Sanremo e il premio Strega, sono fluide le omelie del Presidente della Repubblica e le comunicazioni degli scienziati governativi, le dichiarazioni europee e le ecoansie insostenibili. È fluida la nuova dottrina della Chiesa e il concetto stesso di Stato. Citi, a ragione, Debord, che giustamente aveva messo in evidenza come questa società in cui viviamo si nutre e si mantiene sulle apparenze private della minima profondità, e afferma con precisione che “è il potere governativo che si personalizza in pseudo-vedette”.

Prendiamo i quadri dei politicanti. C’è qualcuno che riesce a trovare non dico uno statista, ma un approssimativo ideologo nella fauna partitica e parlamentare?

Il livello culturale e quello dottrinario sono pressoché infimi, e quindi è altrettanto scadente la coerente adesione a delle idee che concretamente non esistono. È il tempo della democrazia realizzata, senza princìpi da difendere, modelli ai quali riferirsi e destini ideali da perseguire, ma solo progetti intercambiabili e modificabili in corso d’opera. Politica intesa come management, e al posto di statisti e creatori di visioni o, per dirla con Germinario, attivatori di miti, ubbidienti esecutori delle leggi del mercato e guardiani delle normative liberiste.

Tutto è spettacolo: dalle patetiche esibizioni parlamentari alle blasfeme rappresentazioni delle devianze del Gay Pride. Nessuna differenza tra il finto trasgressivo radical-chic e il finto eversivo da centro sociale: la finzione regna sovrana.

Il problema, però, non è solo legato alla scadente qualità dei protagonisti e dal grossolano contenuto del copione rappresentato, quanto dal supporto popolare che simili esibizioni ottengono.

Se “uno dei caratteri peculiari del nostro tempo è che le scene più significative sono legate ad attori insignificanti” – secondo la perfetta osservazione di Jünger – l’altra distintiva caratteristica è la passiva e rassegnata accettazione dei fatti da parte della plebe resiliente, con un popolo smobilitato da ogni capacità critica.

 

3) La rivoluzione digitale è destinata a generare radicali trasformazioni nei rapporti sociali, ma soprattutto provocherà profondi mutamenti nella stessa antropologia umana, quale esito ultimo dell’ideologismo individualista liberale. Il mondo digitale comporta l’avvento di un atomismo sociale alienato nella virtualità mediatica. La virtualità mediatica è una espressione di libertà nella misura in cui consente all’individuo di “diventare ciò che vuole”, consiste cioè nella facoltà di assumere infinite personalità fluide alienate dalla realtà. La rivoluzione digitale dunque, non si tramuta invece in un invisibile totalitarismo in cui la virtualità diviene l’unica forma di percezione indotta e alienata dalla realtà, dato che l’uomo viene privato delle sue facoltà percettive naturali e quindi della possibilità di assumere una coscienza consapevole di se stesso?

Quella digitale, a mio parere, più che una rivoluzione, espressione che ha in sé il senso dell’imposizione traumatica di una idea e, quindi, lascia spazio anche ad una possibilità di reazione, è stata un’operazione di infiltrazione vera e propria delle coscienze critiche. Dietro alle untuose formule del tipo “è per il bene comune”, “è una comodità per tutti”, “è una condivisione di opinioni”, “è una facilitazione delle conoscenze” e via via seducendo, c’è l’obiettivo del controllo capillare sulla massa più esteso possibile, associato, contemporaneamente, alla sempre più blindata chiusura simil-autistica delle persone.

In questo obiettivo non sono coinvolti soltanto i cosiddetti social media, quindi strumenti che vengono individualmente scelti e che possono, a volontà personale, venire altrettanto spontaneamente spenti, ma dispositivi di lavoro, di studio e di salute che sono stati sperimentati e applicati durante la farsa pandemica.

Che utilità ha il decantato smart working, a parte il risparmio economico delle imprese, se non quello di rinchiudere il dipendente nell’ambiente domestico e impedire la normale socializzazione e il confronto utile in ambito lavorativo?

Che utilità ha l’insegnamento a distanza se non quello di isolare sempre di più i giovani all’interno di una bolla virtuale di irrealtà, di sfilacciare i rapporti interpersonali fatti di contatti e di confronti, di disinnescare ogni aspetto comunitario fatto di condivisione, di attivismo e di critica consapevole, nonché di ridurre l’impatto affettivo e seduttivo dell’insegnamento?

Che utilità ha la tanto decantata medicina digitale se non quello di rompere l’alleanza terapeutica medico-paziente, di automatizzare segni e sintomi di una persona ridotta ad apparato meccanico da sottoporre ad eventuale manutenzione, di convertire la conoscenza clinica con l’analisi degli algoritmi di salute?

Ogni azione spacciata come utile, pratica e comoda per l’uomo, in realtà, fa parte di un’ampia strategia di disumanizzazione dell’uomo in tutti i suoi aspetti, nelle sue espressioni personali e sociali.

 

4) L’avvento della governance globale prefigurata dal Grande Reset, presuppone la sussistenza del primato mondiale dell’Occidente a guida americana. Il Grande Reset è dunque un prodotto dell’eurocentrismo anglosassone tramutatosi poi in eccezionalismo americano. L’emergere degli Stati – Civiltà (Russia, Cina, India, Iran, e altri), sta provocando il declino dell’Occidente. Non è dunque riemerso dai meandri della storia quell’ “inconscio etico” su cui si struttura la dimensione del sacro, il senso della comunità fondata su valori comuni, la tradizione come trasmissione transgenerazionale di fondamenti etici? Non si profila quindi una reazione multilaterale alla occidentalizzazione del mondo, intesa come omologazione globale al sistema neoliberista? L’Occidente non ha sempre rivelato una straordinaria abilità nel generare esso stesso i suoi nemici? L’Occidente ha contaminato il mondo con un virus letale denominato nichilismo, ed allora non è del tutto logico e naturale che il sud del mondo adotti le necessarie terapie, onde prevenire tale pandemia americanista che si è rivelata per l’Europa irreversibile?

 

Non mi sono mai occupato di geopolitica, che considero una branca altamente specifica e sofisticata della politica internazionale dove la conoscenza dell’attualità si fonda sulla storia, sui miti, sui simboli, sui costumi, sulle tradizioni e su molti altri fattori dei soggetti in causa.

Detto ciò, cercherò di focalizzare due punti della domanda che mi hanno particolarmente colpito in quanto oggetto di studio.

Il primo riguarda l’“inconscio etnico”. È una questione psichica studiata da Georges Devereux, antropologo e psicoanalista ungherese, a ragione considerato il fondatore dell’etnopsichiatria o della psichiatria transculturale. I suoi studi dovrebbero essere presi in seria considerazione quando si parla, a proposito del fenomeno migratorio, di integrazione e di assimilazione, o quando ci si meraviglia del processo di radicalizzazione nella fascia dei musulmani più giovani. Devereux supera, per certi versi, il concetto di inconscio collettivo di Jung e si addentra in quell’inconscio specifico che interessa ogni particolare etnia: la sedimentazione psichica transgenerazionale che nulla ha a che fare con la biologia. Un nucleo di memoria psichica che può attivarsi a distanza di decenni nelle discendenze più distanti e per situazioni indipendenti dalle volontà individuali e da ragioni organiche.

Il secondo riguarda il rapporto tra l’Occidente appiattito sulla linea di pensiero americana con gli annessi e connessi di ogni sottomissione coloniale e le potenze “non allineate” al monopolarismo statunitense. Non c’è alcun pensatore, ritenuto tale per competenza e onestà intellettuale, che non riconosca tra le cause dei conflitti dei fattori metapolitici che vanno ben aldilà delle motivazioni economiche o territoriali. Quello che sta accadendo tra la nostra civiltà corrotta e perversa e gli altri mondi di tradizione storica e religiosa è un evento situato ad un livello altro ed alto rispetto alla narrazione ufficiale. È la lotta tra due visioni del mondo e della vita: lo spirito e l’idea di trascendenza dell’uomo e della comunità di appartenenza, da un lato, e, dall’altro, la materia e i valori volgari di un essere senza identità e del suo villaggio globale nel quale si aggira privo di radici.

 

5) Occorre dunque reagire, decostruire questo sistema fondato sul materialismo, sull’individualismo di massa, sull’ideologia del progresso infinito. Decostruire quindi la colonizzazione delle nostre menti effettuata dal sistema. Il decostruire presuppone necessariamente il ricostruire innanzi tutto noi stessi, assumere una nuova coscienza di sé e del nostro essere nel mondo. Per comprendere lo spirito del nostro tempo non occorre decostruire le nostre stesse convinzioni, liberarsi delle alienazioni ideologiche estranee alla presente realtà storica e svincolarsi nel contempo dai canoni stereotipati di interpretazione mediata della realtà? Non occorre far riferimento alla massima di Nietzsche “Diventa ciò che sei”, nella ricerca dell’autenticità di se stessi, nel riconoscere anche quanto nell’azione politica anti – sistema fosse invece funzionale alla sussistenza del sistema stesso?

Il problema dell’uomo, in generale e da sempre, è il suo naturale desiderio di vedere i risultati dei suoi impegni e dei suoi sacrifici, ma questa onesta aspettativa era nel passato ridimensionata da una concretezza esistenziale, da una vita vissuta all’insegna dell’obiettività e del realismo. Il problema della contemporaneità è, invece, l’accelerazione psicologica del tempo associata all’idea narcisistica del potere: quindi, tutto ciò che voglio dev’essere soddisfatto subito. Ma “Se tutto sembra possibile, allora più niente è reale”, avverte Miguel Benasayag, e con questo avvertimento che si dovrebbe fare i conti quando ci si butta in qualche impresa.

È proprio l’“impresa” politica che dimostra l’estrema differenza tra queste due mentalità.

Un tempo – aldilà di ogni giudizio di merito sull’appartenenza ideologica e sugli obiettivi politici – c’erano gli statisti, le scuole di partito, la selezione della militanza, una comunità ideale. Sia chiaro, nessuna mitizzazione di uomini e tempi che hanno dimostrato magagne e vizi spesso non scusabili, ma sempre molte spanne più in alto delle nullità attuali. Quelli ragionavano in termini di destino e di futuro, questi calcolano l’azione su interessi elettorali e su utilità contingenti.

È il risultato della democrazia realizzata con le sue maggioranze all’inseguimento del consenso delle masse, con le sue minoranze agguerrite per ottenere diritti e gratificazioni di voglie eufemisticamente discutibili, anche in conflitto con il volere delle maggioranze stesse.

In molti ci chiediamo come fare per decostruire questa finta realtà alienata e alienante e rifondare il vero senso della vita singola e comune. La contemporaneità è in fase di anestesia diffusamente propagata e diversificata nella società. Aldo Carotenuto mi disse una volta che una delle difficoltà della nostra professione è far capire alle persone che qualcosa non funziona quando apparentemente tutto va bene. È ciò che sta avvenendo davanti ai nostri occhi.

Allora, sarebbe bene fare proprie le indicazioni di Gramsci su L’Ordine Nuovo – a studiare, attivarsi e organizzarsi –, aggiungendo quelle dei legionari reduci dai campi di prigionia vietminh – analizzare, spiegare e convincere.

L’operosità, per altro, non dev’essere intesa come fatuo attivismo, ma strategica semina per caratteri e personalità integrali e differenziati. E il problema, a questo punto, fa emergere una domanda: con quali risorse? Con quale materiale umano? È un problema antropologico che interessa la volontà, lo spirito di sacrificio, il coraggio dell’iniziativa, lo slancio intellettuale, la spregiudicatezza dialettica ed altre qualità da tempo narcotizzate e paralizzate in un finto benessere e in una masochistica rassegnazione, astutamente indotte dal Sistema.

 

 

 

 

 

 

 

 

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