Sombart ci descrive una borghesia con scarsa, marxianamente parlando, coscienza di classe, animata da invidia sociale e ressentiment. Ma Sombart soprattutto ci dice che la predicazione calvinista crea il commerciante capitalista. Lusso è ogni dispendio che vada oltre il necessario. Oggi il lusso non viene più contestato, ma patologicamente invidiato. Come attestano le cronache, per il lusso si rapina, ci si prostituisce, ci si degrada.
Nel ‘68 i militanti del movimento studentesco lanciarono pomodori, alla Prima della Scala, contro le signore impellicciate, identificando così, confusamente, lusso e capitalismo.
Sicuramente, tuttavia, non avevano di certo letto Lusso e Capitalismo di Werner Sombart (“Luxus und Kapitalismus”, Munchen 1913) dove viene teorizzato un nesso inscindibile fra lusso, capitalismo ed emancipazione della femmina, ovvero liberazione sessuale.
Scherzando, si potrebbe affermare che non era necessario attendere la hippie generation per farci conoscere l’amore libero, o illegittimo, secondo la terminologia di Sombart.
Esso era altamente apprezzato e allegramente praticato negli ambienti di corte.
Per amore libero, o illegittimo, secondo la terminologia di Sombart, si intende l’amore in sé, restio ad ogni costrizione ed istituzionalizzazione. Col tempo si diffonde nel resto della società.
Già nel 1300, rammenta il sociologo tedesco, il Petrarca si lamentava del fatto che una folla di meretrici aveva invaso le principali città europee. I ricchi borghesi coniugati si concedevano i piaceri profusi da una demimondaine, una via di mezzo fra una prostituta e la donna onesta.
Sombart ripercorre nello scorrere dei secoli le varie figure e incarnazioni dell’amore illegittimo perché è da questo e da capricci della femmina che ad esso si concede che nasce il bisogno e la produzione capitalistica di un lusso sempre più sfrenato. Questa, in sintesi, è la tesi fondamentale dell’opera.
Del resto scrive nell’Introduzione (e vale la pena di citare per intero): “Questo primo tomo che ha per titolo Lusso e Capitalismo dovrebbe piuttosto intitolarsi <Amore, lusso e capitalismo>, poiché l’idea su cui esso si basa è questa: che le profonde trasformazioni verificatesi nella società europea a partire dalle Crociate hanno prodotto come conseguenza un mutamento nei rapporti fra i sessi, mutamento che è a sua volta la causa determinante nel tipo di vita delle classi dominanti – trasformazione che viene ad esercitare, infine, un influsso essenziale nella genesi del sistema economico moderno.”
Fra tutte le opere di Sombart quella in questione è la più ardua per la lettura e per le tesi ivi sostenute, forse improbabili ma sostenute da una grande erudizione.
Ardua per la lettura perché l’autore inonda il lettore di un numero altissimo di cifre relative a rendite, stipendi, costi degli oggetti suntuari (compresa l’erotica biancheria intima, ecc.). Inoltre alcune argomentazioni non sono lineari, a partire dal rapporto psicologico ed esistenziale fra il borghese che produce il lusso e il lusso stesso.
Ci viene incontro la brillante prefazione (non firmata ma che ipotizziamo essere opera del traduttore Riccardo Frassinelli) all’edizione italiana (Edizioni all’insegna del Veltro 1982).
Dopo aver ripercorso a grani linee l’analisi sombartiana della genesi del capitalismo ed aver precisato che il sombartiano <necessario> si trova dunque, attualmente ben al di sotto della discriminante fra i due tipi di bisogni che potremmo chiamare il livello obbligatorio di consumo imposto dal capitalismo (vd. Jean Baudrillard, “Per una critica dell’economia politica del segno”, Milano 1974) si lascia andare ad una riflessione del tutto in linea con le tesi di Sombart : “L’affermazione che il lusso ha generato il capitalismo può essere perciò essere completata così: è il capitalismo che ha reso obbligatorio il lusso…Il lusso ha contribuito a far emergere la forza lavoro; il capitalismo ha dato vita all’individuo quale forza consumo, giungendo inoltre ad elaborare una strategia culturale e politica intesa alla mobilitazione dei bisogni”.
Veniamo quindi, dalla nostra ad alcune considerazioni, oltre a rendere conto del testo di Sombart iniziando dalle sue elucubrazioni sulla corte.
Forse fu Avignone, sostiene Sombart, la prima corte moderna, poiché fu lì che per la prima volta che si radunarono i due gruppi di persone che nei secoli seguenti costituiranno ciò che è stato chiamato la società della corte, vale a dire nobili senza altra missione che servire gli interessi della corte e belle dame, dice Sombart, distinguèes par le manières et l’esprit, i quali imposero il loro marchio caratteristico alla vita e al comportamento sociale.
Tuttavia, continua, il vero creatore della corte fu Francesco I°, perché fece intervenire in essa le dame conferendole un peso decisivo. Soleva dire <una corte senza dame è come un anno senza primavera, come una primavera senza rose>. Con conseguenti tresche amorose.
Francesco I° si distinse nel vendere titoli nobiliari a ricchi borghesi che aspiravano alle delizie della vita di corte. Un altro modo per quest’ultimi per raggiungere il loro scopo, era quello di far sposare le loro figlie, con cospicua dote, a conti e marchesi. Sombart stila numerosi esempi.
Il marchese di Sully così si espresse <che le idee sono cambiate, che l’oro può tutto, che perfino la nobiltà la pensa come la plebe e non esita a contrarre alleanze vergognose>.
Ma l’aspetto più importante è che qui Sombart ci descrive una borghesia con scarsa, marxianamente parlando, coscienza di classe, animata da invidia sociale e ressentiment.
Siamo quindi apparentemente lontani dalla visione weberiana che vuole, dopo la Riforma, una borghesia devota all’ideale del decoro (laboriosità, sobrietà che ci rendano grati a Dio).
Ma non è esattamente così, perché Sombart ci parla dell’orrore che suscita nell’animo del commerciante per la figura della cortigiana, si parla dei quaccheri che producano abiti di lusso ma che si guardano bene dall’indossarli. Ma soprattutto ci dice che la predicazione calvinista crea il commerciante capitalista. Inoltre si concede questa profonda riflessione filosofica: “Come le onde del mare, così succedono le une alle altre. L’onda che adesso si sostiene non ha nulla a che vedere con quella che qui intendiamo studiare nella sua ascesa e decadenza; proviene dalle conventicole e dalle prediche di Calvino e di Giovanni Knoxen fonti prime dei concetti di decoro borghese. Ma all’interno di uno stesso ciclo culturale l’evoluzione non procede secondo una linea retta, bensì è talora deviata da tendenze contrarie. Solo a grandi tratti possiamo parlare di una evoluzione uniforme nella concezione e nella pratica dell’amore nella nostra epoca”.
In ogni caso la letteratura dà ragione a Weber. Ad esempio in Tempi difficili di Dickens il protagonista è un capitalista taccagno che vede ozio e fannullonismo ovunque.
Una conseguenza importante dell’approdo dei ricchi borghesi allo status di nobili, è che ostentano un lusso più sfrenato dell’antica nobiltà. Quest’ultima, per non cedere il passo, finisce per indebitarsi con gli usurai (fatto storico importante, osserva Sombart, perché così segna la propria decadenza).
Nonostante ciò continua a spendere e spandere senza tener conto dell’entrate, mentre il borghese lo fa. Tuttavia resta ancora essa l’arbitro del lusso.
L’unica classe borghese che ha un rapporto con il denaro simile alla antica nobiltà, è quella dei finananciers , che dilapidano patrimoni in attesa di qualche fortunata speculazione.
Tornando all’ordine dei capitoli del testo, ci imbattiamo in un interessante, da un punto di vista psicologico, “la vittoria dell’amore illegittimo”.
Passate le paranoie millenaristiche le donne indossano bei vestiti, mostrano le loro forme, e naturalmente si concedono.
Si celebra l’avvento dei Minnesanger in Germania e dei trovatori nei paesi latini, che nelle loro liriche alla donna amata esprimano un erotismo puerile e subliminale. In continuità, e nello stesso tempo come reazione al loro idealismo, il Decameron e la letteratura boccaccesca, che esprimano un sano erotismo carnale, anche se mantengano tratti di puerilità.
Ma il vero trionfo della femmina si compie con l’avvento della cortegiana, fenomeno squisitamente tipico del paganeggiante Rinascimento italiano, per poi essere esportato in Francia.
Cortegiana all’inizio significa semplicemente dama di corte. Il salto di qualità, se così si può chiamare, avviene quando una ragazza borghese va a scaldare il talamo del re, diventando così una maitresse regale.
Essa si circonda di un lusso spudorato (che naturalmente deve essere prodotto), e diventa una sorta di influencer ante litteram sui vestiti, i mobili, le carrozze, ecc.
Compone poesie (brutte). Ma, commenta ironicamente Sombart, viene apprezzata per altre qualità).
Alla cortegiana, continua Sombart, succederà l’attrice di Teatro, che diventa il luogo dove i nobili intrecciano tresche amorose.
Ma negli ultimi decenni dell’ancienne règime il protagonismo femminile passa alla donna di casa, che dilapida patrimoni nell’arredamento. Sombart definisce ciò come l’intimizzazione del lusso.
Veniamo adesso a commentare il capitolo fondamentale: “La nascita del capitalismo dal lusso” (Significativamente: Letteratura manca).
Ma prima occorre chiarire la complessa definizione sombartiana del lusso.
Lusso è ogni dispendio che vada oltre il necessario. Il concetto indica, dunque una relazione, e quindi bisogna vedere cosa si intende per “necessario”. Come criterio oggettivo può essere assunto il complesso delle necessità fisiologiche o quello delle necessità culturali. Le prime variano con i climi, le seconde con le epoche storiche.
In sintesi, gli oggetti che noi usiamo hanno un grado di raffinatezza che va oltre la necessità del loro impiego. Per cui “la raffinatezza che eccede la media corrente, in un determinato stato di cultura, è l’unica che possa essere definita raffinatezza in senso stretto. Questa esigenza di raffinatezza strettamente definita è quella che chiamiamo esigenza di lusso”.
Sombart, in fatto di lusso, tira in ballo le opinioni di Defoe, Smith, Mandeville. Quest’ultimi, per quanto moralmente avversi al lusso sfrenato, ammettono che esso favorisce industrie (ancora non si parlava di capitalismo) che danno da mangiare a migliaia di operai (è la tesi liberista che la ricchezza di pochi va a vantaggio di tutti).
Quello che avrebbe oscurato questa verità sarebbe stata la sciagurata interpretazione di Marx della genesi del capitalismo. Secondo lui il capitalismo sarebbe stato favorito dall’ampliamento geografico dei mercati e soprattutto dallo sfruttamento delle colonie nel sec. XVI.
Tale parere, continua Sombart, si espresse nella concezione teleologica nella scuola storica dell’economia nazionale: la dilatazione geografica del mercato, il mercato remoto, l’esportazione, hanno reso necessaria l’organizzazione capitalistica.
Questa interpretazione, afferma, è stata rafforzata dalla teoria di Bucher.
Secondo lui l’opificio pratica la vendita sul luogo, mentre il capitalismo produce per una cerchia sconosciuta di consumatori; l’opificio pratica la vendita sul luogo, mentre il capitalismo ha un mercato interlocale.
Tuttavia, obietta il sociologo tedesco, la produzione per una clientela fissa e il mercato interlocale non sono affatto la contrapposizione fra artigianato e capitalismo. Perché “C’è capitalismo in attività produttive strettamente subordinate a una clientela di committenti come la sartoria; e ci sono stati, nel corso di una lunga serie di secoli, mestieri fiorenti privi della minima impronta capitalistica, il cui mercato era costituito da tutta la terra abitata”.
Lasciamo all’eventuale lettore (anche per motivi di spazio) la scelta fra queste due interpretazioni.
In conclusione, evidenziamo come, in questa era di terziarizzazione, l’industria del lusso, in paesi come l’Italia o la Francia, incide significativamente sul P.I.L.
Naturalmente il lusso non viene ostentato da corteginane ma da giocatori di calcio, influencer, dive di Hollywood (tutte paladine dei “diritti”).
Oggi il lusso non viene più contestato, ma patologicamente invidiato. Come attestano le cronache, per il lusso si rapina, ci si prostituisce, ci si degrada.
Stefano Boninsegni
PS: Sebbene l’alta finanza abbia sempre avuto un grosso ruolo nell’economia, ai tempi di Sombart il capitalismo presentava il suo volto industriale, mentre oggi il capitalismo finanziario ha sussunto l’economia reale.
Giova ricordare che, alla fine del secolo scorso Negri e Hardt, nel loro Impero hanno sostenuto la tesi che, finita l’era dell’imperialismo si instaura l’impero del Capitale, un impero senza centro, dove circolano flussi finanziari anonimi e rapaci gestiti dal management. Si ricorda che anche Marx aveva sostenuto la tesi che il capitalismo avrebbe raggiunto un grado di astrazione tale, che anche gli stessi capitalisti sarebbero diventati funzionari del Capitale (e quindi alienati, vd. Costanzo Preve).
Ovviamente si può obiettare che nel frattempo molte cose sono cambiate. La Cina è diventata la più grande fabbrica del mondo e i giganti del WEB rimandano a nomi e cognomi. Quel che non è cambiato sono le politiche neo liberiste che provocano inedite e spaventose diseguaglianze economiche e sociali ovunque siano applicate.