Recensione del libro di Ilaria Bifarini “Dal Grande Reset al Green Reset”, pubblicato da Youcanprint, 2023, pagine 252, € 18,00, a cura di Luigi Tedeschi
Il nuovo libro di Ilaria Bifarini “Dal Grande Reset al Green Reset”, fa seguito a “Il Grande Reset” pubblicato nel 2020. I due libri presentano una coerente continuità nella tesi di fondo: la pandemia, la crisi energetica e la guerra, si sono rivelati eventi idonei ad accelerare i processi di sviluppo del nuovo capitalismo tecnocratico ed oligarchico, con la progettata realizzazione della 4a rivoluzione industriale (Grande Reset) e la transizione ambientale (Green Reset).
L’Occidente è eroso da un processo di decomposizione interna. Pertanto, un modello capitalista – finanziario può sopravvivere a se stesso ristrutturandosi come sistema totalitario pianificato a base tecnocratica.
L’Occidente sembra pervaso da una cupio dissolvi rivolta contro se stesso, da una bulimia autodistruttiva che mira ad annientare la propria cultura, la propria memoria storica, la propria struttura economico – sociale. Le espressioni più evidenti di tale impulso nichilista sono rappresentate dalla cancel culture, il cui obiettivo è il reset totale della nostra civiltà e dalla cultura woke (il risvegliato), sorta da un senso di colpa collettivo ed irredimibile che pervade la società occidentale e si propone di distruggere il patrimonio storico – culturale di questa civiltà, considerata fonte di ingiustizia, soprusi, razzismo, discriminazioni: una sorta di “male assoluto” incarnato nell’uomo bianco, con parallela esaltazione della superiorità morale delle minoranze. Come non riscontrare nella matrice ideologica della cultura woke una riviviscenza attualizzata dell’illuminismo, che prefigurava con l’avvento della ragione il secolo dei lumi, in contrapposizione ai secoli bui dell’oscurantismo medioevale?
Questo libro vuole contrastare l’ideologia ecologista della cultura dominante. Questa ideologia vuole traumatizzare mediaticamente le masse, mediante profezie di disastri imminenti dovuti al riscaldamento globale e criminalizzare l’uomo, quale artefice di questa futuribile apocalisse ecologica.
La decadenza dell’Occidente sembra giunta alla sua fase terminale, con la fine della modernità e la degenerazione autodistruttiva della postmodernità. Ma questa deriva nichilista dell’Occidente è del tutto coerente con la logica progressiva dello sviluppo del sistema capitalista. Il patrimonio storico – culturale della civiltà occidentale viene annientato perché ormai ritenuto obsoleto, cioè non funzionale all’evoluzione tecnocratico – totalitaria del capitalismo. Del resto, la storia ci offre una palese conferma di tutto ciò: le trasformazioni epocali del capitalismo si sono da sempre realizzate mediante progressive “distruzioni creative”.
L’ideologia liberale è la sola sopravvissuta alla fine delle ideologie novecentesche, in virtù delle attitudini adattative del capitalismo ai più diversi contesti storici, culturali e geopolitici in perenne trasformazione. Con il Grande Reset infatti, il capitalismo ha assimilato la logica strutturale pianificatrice, egualitaria e totalitaria del defunto socialismo reale.
Il dissenso ambientalista è stato integrato nella struttura di potere del capitalismo oligarchico. Il movimentismo alternativo ecologista e anti – capitalista ha subito una radicale trasmutazione in militanza inquadrata nel sistema, preposta, oltre che a rendere innocuo il dissenso, alla attuazione delle direttive imposte dalla oligarchia stessa con il Grande Reset. L’emergere del mito mediatico di Greta Thumberg ne è un esempio eclatante.
Ma soprattutto, con il Green Reset il capitalismo ha assimilato e reso funzionale alla sua progettualità il dissenso anarcoide ecologista e quello nichilista della cancel culture. Tali fenomeni sono rivelatori della genetica vocazione eversiva di un capitalismo oggi proteso al sovvertimento della stessa natura umana, attuato mediante la sua evoluzione tecnocratica e transumanista.
Emerge inoltre una palese contraddizione. La narrazione secondo cui il degrado ambientale derivi dal riscaldamento globale si rivela falsa perché priva di fondamento scientifico. Infatti, alle immani risorse impiegate per ridurre a zero le emissioni di CO2, fa riscontro la totale assenza nel Green Reset di politiche di risanamento ambientale. E i danni derivanti dalla carenza di investimenti in infrastrutture per la salvaguardia del territorio sono tragicamente comprovati dalla recente alluvione nell’Emilia Romagna. Del resto, anche in questa trasformazione ecologica epocale, rimane immutato il sistema capitalista, inalterato l’iperconsumo di massa e la logica dello sviluppo illimitato. L’ideologia ecologista infatti esalta la tecnica, in spregio dell’uomo e della natura.
Lo stesso fondamento scientifico della teoria secondo cui il riscaldamento globale abbia origine antropica è assai discutibile. Le voci degli scienziati dissenzienti vengono tacitate dalla inquisizione mediatica e definite “negazioniste”, appellativo infamante, in quanto il dissenso viene assimilato al negazionismo del genocidio dell’olocausto. Ha affermato a tal riguardo il Prof. Franco Prodi: “Quelli dell’Ipcc sono scenari che derivano dai loro modelli e non possiamo basare tutte le nostre scelte su studi in cui gli effetti delle nubi, dell’aerosol fuori nube, dei gas poliatomici e così via, vengono parametrizzati in modo grossolano. Gli scenari che ne derivano non possono dunque essere accettati come previsioni in senso stretto, come accade invece con la meteorologia. È questa la sostanza del problema dal mio punto di vista”.
Il nuovo capitalismo è di natura tecno – scientista, ma la sua scienza ha una evidente base ideologica: viene infatti spacciato per verità scientifica, ogni progresso della scienza che si riveli compatibile e funzionale alla massimizzazione del profitto.
Il Green Reset si fonda su dogmi scientifici non suscettibili di confutazione: nei fatti si rivela una ideologia totalizzante, che assume le sembianze di una nuova religione. L’ideologia ecologista sancisce la fine dell’antropocentrismo. L’uomo non è più protagonista della storia e l’umanità intera è stata criminalizzata. Si rileva tuttavia che l’omologarsi di papa Bergoglio e del Dalai Lama a questo credo scientista – ecologista comporta la negazione della trascendenza, dell’essenza cioè della religione stessa. L’ideologia ecologista si tramuta in una religione immanente, senza speranza di redenzione e salvezza, perché fondata su di un senso di colpa irredimibile, con l’unico orizzonte di una sopravvivenza artificiale ed eterodiretta.
Il Grande Reset ed il Green Reset non comporteranno certo il tramonto del capitalismo. L’illimitata emissione di denaro virtuale alimenterà l’economia finanziaria, l’intelligenza artificiale presiederà alla produzione e al dilagare invasivo della virtualità digitale. La deriva tecnocratica renderà superfluo il genere umano. Da una parte l’uomo, con la fine dell’antropocentrismo, da soggetto viene degradato ad oggetto del progresso scientifico, dall’altra viene alla luce una dimensione prometeica dell’uomo, che, attraverso la scienza, aspira a mutare la temperatura globale e la stessa natura umana. Tale contraddizione, è però solo apparente, dato che il progresso scientifico condurrà ad un mondo post – umano in cui saranno annientati tutti, sia le elite che i popoli. Siamo evidentemente giunti alla fase finale di una modernità da cui scaturirà, dopo la morte di Dio anche la fine dell’uomo.
Ilaria Bifarini ricostruisce le origini dell’ideologia neoecologista che risalgono alla fondazione del Club di Roma, costituitosi su impulso dell’imprenditore italiano Aurelio Peccei, che coinvolse vari esponenti delle elite scientifiche, economiche e finanziarie dell’Occidente. Il Club di Roma pubblicò, sulla base delle analisi degli scienziati del Mit il best seller “I limiti dello sviluppo”, divenuto poi la bibbia dell’ideologia neoecologista.
L’ideologia ecologista, sin dalle sue origini, affermò l’insostenibilità dello sviluppo demografico ed economico del mondo, a causa dell’esaurimento delle risorse naturali ed il progressivo degrado ambientale del nostro pianeta. Le tesi ambientaliste del Club di Roma riproposero, in versione moderna, le teorie di Thomas Malthus, riguardo alla decrescita demografica ed economica. Peccei, fu promotore della figura dell’imprenditore sociale, quale soggetto economico che, mediante l’attività di impresa con l’obiettivo del profitto, allo stesso tempo avrebbe generato rilevanti ricadute etico – sociali e contribuito alla creazione di una nuova società più equa. La figura dell’imprenditore sociale di cui fu precursore Peccei, è antesignana del modello imprenditoriale delineato dal WEF di Klaus Schwab, che, in perfetta sintonia con il Club di Roma, auspica l’avvento di un governo globale guidato da una oligarchia tecnocratica con il Grande Reset, con relativo annientamento della sovranità degli Stati.
Il nuovo ecologismo, si impone con la prefigurazione di destini catastrofici per l’umanità, quale responsabile di tutti i mali della terra. Solo una svolta tecnocratica potrebbe dunque generare una rivoluzione globale, attuata contro l’uomo e la natura.
Al Club di Roma, fece seguito la nascita nel 1993 del Club di Budapest ad opera del filosofo ungherese Ervin Lazlo. Questa iniziativa prevedeva la creazione di una nuova coscienza planetaria riguardo alle tematiche della ecosostenibilità. Il Club di Budapest fu gratificato dal consenso di grandi imprese multinazionali, quali protagoniste delle future trasformazioni economico – ambientali.
Lazlo teorizzò la creazione di un Superstato mondiale, quale unico legislatore, dotato del potere di controllo della condotta dei cittadini. Coinvolse nel “risveglio delle coscienze” anche i movimenti della cultura alternativa ambientalista, quali adepti di una nuova religione ecologista, che costituì quindi la sovrastruttura culturale della incipiente rivoluzione del capitalismo green.
Tra i fautori dell’ideologia ecologista occorre includere la Fabian Society, fondata nel 1884, che annoverò tra i suoi membri eminenti esponenti della cultura dell’epoca. La Fabian Society si propose la realizzazione di una società socialista, da attuare mediante un progressivo progetto riformatore e la fondazione di uno Stato mondiale a base tecnocratica e pianificatrice. Le teorie del fabianesimo si ispirarono alla eugenetica, considerata una “nuova religione”. Nel fabianesimo si configura una simbiosi tra capitalismo e collettivismo. Si prefigurano progetti di ingegneria sociale a livello mondiale, con l’avvento di un capitalismo globale basato su pianificazioni economiche affini al collettivismo comunista. Non a caso tra i suoi sostenitori figurano il finanziare Soros e teorici ultraliberisti come Von Hayek.
Si è dunque affermata una ideologia ecologista che ha assunto le sembianze di una profezia, la cui realizzazione, con il riscaldamento globale, appare mediaticamente conclamata. Ma è facile constatare che tali profezie si realizzano in quanto se ne creano artatamente le condizioni. Le crisi economiche, la pandemia e la guerra generano infatti scarsità, emergenze, dipendenze. E la scarsità è un fattore congenito alla logica del capitalismo.
Inoltre, lo spettro di un blackout energetico e informatico, si configura come un ricatto esistenziale nei confronti di tutta l’umanità. Il Grande Reset e il Green Reset sono svolte epocali che si inseriscono nel contesto della lotta di classe intrapresa sin dagli anni ’80 dalle classi dominanti contro i popoli, come descritto da Christopher Lasch ne “La rivolta delle elite”.
Crisi pandemica, scarsità e guerre, sono fenomeni propedeutici alla medicalizzazione della vita stessa, al razionamento alimentare ed energetico sistemico, alla degenerazione dei rapporti umani a mera virtualità digitale.
Il tramonto dell’Occidente e l’emergere di un mondo multilaterale, non comporteranno certo la fine del capitalismo. Non è infatti in crisi la logica dello sviluppo che è peraltro responsabile del degrado ambientale.
E lo sviluppo si evolve secondo la progettualità pianificata della oligarchia tecnocratico – finanziaria. E’ assai probabile che al declino degli USA sopravvivrà l’occidentalizzazione del mondo, il modello di sviluppo capitalista – tecnocratico e la sua ideologia, che definiamo “americanismo”. Il potere della ideologia e quindi del primato del modello occidentale si identifica con l’ “americanismo”. Il capitalismo infatti è una struttura economica impersonale ed acefala autoreferente, suscettibile di riproduzione seriale incontrollata e illimitata.
Tuttavia il modello americano sembra oggi non essere adeguato a sostenere il confronto economico e geopolitico con la Cina. Quest’ultima è artefice di un sistema in cui si è realizzata una sintesi tra l’economia capitalista e la sovranità nazionale, mediante un ordinamento politico totalitario che si avvale della tecnologia avanzata per il controllo sociale di massa. A questo modello “capitalcomunista” sembra oggi ispirarsi la trasformazione economico – ecologista del Grande Reset del WEF di Davos.
Questo libro presenta problematiche di notevole interesse e la narrazione si rivela avvincente, nella progressiva decostruzione dei dogmi ideologico – scientifici della cultura dominante. Emerge inoltre uno spirito ribellista, teso al risveglio delle coscienze di una massa resa amorfa e subalterna alla ideologia del mainstream.
Si può generare dissenso e resistenza solo facendo leva sulla coscienza di coloro che non hanno rinunciato al pensiero critico, che credono nella incoercibile natura sociale comunitaria dell’uomo, nei propri valori culturali identitari. La memoria storica infatti ci insegna che tutte le ideologie totalizzanti e manipolatrici della natura umana, che prefigurino lo sviluppo della storia come necessario, immanente ed irreversibile, sono condannate al fallimento. Così si esprime a tal riguardo Franco Cardini: “Unica consolazione: grazie a Dio, la storia è imprevedibile…. Grazie a Dio, nella storia prima o poi arrivano gli unni, scoppia la Peste Nera, o si verifica la Rivoluzione dei Prezzi, o comunque nasce qualcosa che modifica il “necessario” corso degli avvenimenti”.