Le impostazioni teoriche che trattano della libertà sono sinteticamente tre: libertà come libero arbitrio, libertà come cognizione della necessità, libertà come libera scelta. Ma da queste premesse sorge la domanda posta dal titolo di questo saggio breve: quanta libertà di scelta può godere un individuo in un mondo dominato dal denaro posseduto da pochissimi gruppi finanziari e strutturato da una tecnica servile che Heidegger definiva come Imposizione (Das Gestell)?
Prima di scrivere sulla libertà nella nostra epoca dominata culturalmente dalla veduta tecnico-scientifica, è opportuno fare una breve sintesi su di essa riferita al passato. Il tema della libertà, assieme a quella della verità, è di pertinenza della filosofia greco-europea. E’ assai probabile che i motivi originari di questo pensare fossero dovuti in particolare allo sviluppo di una società mercantile e alla diffusione della piccola e media proprietà privata, sviluppo che fu favorito dalla morfologia territoriale (piccole valli, piccoli fiumi, ecc.). Il concetto di persona libera nasce da qui.
La letteratura a riguardo è sterminata: bastino i riferimenti a Socrate, Platone, Aristotele, Bruno, Leibniz, Kant agli idealisti tedeschi, e soprattutto a Hegel. Altrove, come in Cina, il pensiero filosofico si è rivolto piuttosto nella ricerca della via (Tao) per creare un buon governo a favore della comunità, costruita attorno ai grandi lavori collettivi di tipo idraulico. Nel contempo in India, a causa dell’invasione Aria, il pensiero si è concentrato sul concetto di dharma, inteso come dovere sociale o come Legge universale per il mantenimento, anche sacrale, delle distinzioni fra le caste. In queste due grandi culture non si conosce perciò il significato profondo di che cosa sia la libertà. Nel nostro mondo invece si sono scritti migliaia di libri atti a spiegarlo. Ad ogni modo le impostazioni teoriche che trattano della libertà sono sinteticamente tre: libertà come libero arbitrio, libertà come cognizione della necessità, libertà come libera scelta. Esse implicano vedute del tutto diverse fra loro, per cui cercheremo, per chiarezza, di spiegarne, in brevissimi cenni, la loro impostazione.
La libertà come libero arbitrio (liberum arbitrium indifferentiae) è stata elaborata principalmente dal cristianesimo cattolico. Il primo a concepirla come tale fu S. Agostino, quando abiurando il suo primo intendimento manicheo, ritenne, sulla scia di Plotino, inconciliabile la realtà sostanziale del male con la perfetta bontà di Dio: il male è un non-essere, assoluta privazione del bene. Sennonché il suo più convinto assertore fu il monaco irlandese Pelagio, il quale negava che il peccato originale avesse indebolito radicalmente la libertà originaria del’uomo e quindi la sua capacità di fare del bene. Chi operava come una brava e devota persona era di fatto salvo. Questa dottrina però conteneva in sé una mortale minaccia per la Chiesa stessa: infatti essa conduceva a ritenere inutile l’opera redentrice del Cristo. Di fronte a questo immane pericolo per la dogmatica cristiana, Agostino reagì duramente cambiando idea, e affermando con forza che col peccato di Adamo ed Eva, tutta l’umanità era diventata una massa di dannati che, come tali, trasferiscono il peccato originale attraverso l’anima dai propri genitori per tutte le generazioni presenti e future (traducianesimo). Da ciò discendeva anche la negazione del libero arbitrio, ossia di quella libertà ontologica incondizionata che era posseduta soltanto nel Paradiso terrestre. La salvezza quindi non dipendeva più dalle buone e libere azioni, ma solo dalla imperscrutabile volontà di Dio, che concedeva la grazia solo a pochi eletti, che saranno, in virtù di essa, liberi, mentre i più, a causa del peccato originale in essi insito, resteranno reprobi condannati. E’ forse utile ricordare che sia il luteranesimo che il calvinismo, sia pur in forme differenti, hanno trovato le loro radici ideologiche proprio nel pensiero agostiniano.
Successivamente la chiesa cattolica cercò di mitigare il dettato agostiniano introducendo il principio della cooperazione uomo-dio. S. Tommaso, la cui filosofia fu considerata “perenne” dal papa S. Pio X nell’enciclica “Pascendi dominici gregis” del 1907, intendeva la libertà quella specifica situazione di immunità dalle costrizioni interne ed esterne: il libero arbitrio appunto consiste in questo, in cui volontà e ragione coincidono. Una libertà apparentemente assoluta.
In verità questa teoria del libero arbitrio sanciva una volta per tutte il principio della superiorità della chiesa cattolica sul potere temporale. Infatti, poiché l’uomo è libero incondizionatamente, solo a lui è dovuta la presenza del male nel mondo, pur sempre inteso come mancanza di bene. Gli uomini, sebbene liberi, sono però più inclini a compiere il male, per via del peccato originale. Da ciò discendeva necessariamente la conclusione teologica che non c’è salvezza senza la chiesa cattolica (nulla salus sine ecclesia). Paradossalmente la teoria che esaltava la forma massima della libertà conduceva alla inevitabile obbedienza verso la chiesa stessa. Non a caso Lutero, che odiava il potere temporale della chiesa, fu assertore del “servo arbitrio” contro il cattolico Erasmo da Rotterdam, affermando che la salvezza dipendeva solo da Dio. E così ribadì pure Calvino in modo ancor più estremo con la teoria della doppia predestinazione.
Radicalmente diversa è la veduta della libertà intesa come cognizione della necessità, sulla quale spenderemo poche parole. Essa è una veduta di origine stoica. Gli Stoici sostenevano che nulla avviene a caso, poichè vi è un ordine necessario e che tutto è legato da una rigida causalità fra gli esseri viventi. Il destino provvidenziale (heimarmène) stabilisce ciò che deve essere. Fra l’altro da questa teoria nasce la concezione, sempre stoica, che sarà poi ripresa da Nietzsche, dell’eterno ritorno dell’uguale. La libertà altro non è che la cognizione della necessità causale universale: è chiaro che di fatto, se si accetta questa veduta, essa non esiste. Questa teoria sarà poi presente in forme varie dall’Islam stesso, la cui teologia prevede la totale sottomissione ad Allah, e, sia pure in forma controversa, da Spinoza.
Ci resta da esaminare la terza veduta della libertà, quella della libera scelta, che è poi la vera libertà reale. Ciò implica il porsi una domanda a cui si può rispondere con un approccio metafisico, che consiste nel ricercare su quale sia la sua essenza. Renè Guènon, in un suo breve capolavoro, “Gli stati molteplici dell’essere” (ed. Adelphi) scriveva che la libertà è essenzialmente possibilità. Se si considera il Dio infinito come Possibilità totale è evidente che la libertà è “l’assenza di costrizione”. Ma una libertà così svincolata da ogni limitazione può essere solo una libertà universale e quindi assoluta: essa coincide con Dio stesso, ma non può coincidere con l’uomo che in quanto tale è un essere limitato e perituro. La libertà assoluta per gli uomini può essere solo una mera aspirazione. Lo aveva ben compreso Kierkegaard quando individuava nel difetto di libertà e di necessità (l’uomo non è causa sui) le radici della disperazione umana (La malattia mortale). Per avere allora una corretta definizione del concetto di libertà umana è necessario tornare a quei grandi pensatori che per primi lo concepirono nella sua pienezza, ovvero a Platone ed Aristotele, i quali considerarono che la libertà è una scelta strutturalmente condizionata dalle caratteristiche dell’oggetto su cui verte. La libertà di scelta è perciò una autodeterminazione che può portare un individuo a vincolarsi (ad esempio sposarsi) o svincolarsi (ad esempio divorziare). Un individuo comunque è tanto più libero se riesce ad agire in conformità alla propria personalità e desideri. Resta il fatto che la libertà è sempre condizionata dall’esperienza e dal rapporto che si ha con la comunità, in cui vige il detto biblico “di non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te”.
Da queste premesse sorge la domanda posta dal titolo di questo saggio breve: quanta libertà di scelta può godere un individuo in un mondo dominato dal denaro posseduto da pochissimi gruppi finanziari e strutturato da una tecnica servile che Heidegger definiva come Imposizione (Das Gestell)?
Già nella prima metà del Novecento alcuni grandi e preveggenti pensatori come Guènon, lo stesso Heidegger, Jünger, Anders compresero a fondo che l’instaurazione del regno della quantità, della ragione calcolante, dal macchinismo in ogni forma organizzata della società avrebbe costituito il pericolo mortale per la libertà. Tuttavia i totalitarismi nazi-fascista e comunista facevano ritenere che le società liberali godessero di una libertà di scelta superiore: era possibile viaggiare senza impedimenti, scrivere, parlare e comunicare senza censure opprimenti; era possibile la proprietà privata delle attività industriali, commerciali ed artigianali senza tanti lacci ed ostacoli burocratici. In effetti dopo la seconda guerra mondiale le società liberali dimostravano energia e vitalità creative. La minaccia del “Gestell” era ben nascosta. Ma tutto è cambiato con la fine dell’URSS nel 1991. Essa fungeva da freno nei confronti delle classi dirigenti liberali che temevano la possibilità di una alternativa di sistema. Dal 1992 in poi finalmente esse hanno potuto mostrare il loro vero volto. Con le privitazzazioni delle industrie statali, con l’attacco via via sempre più forsennato allo stato sociale (scuola, pensioni, sanità), con un liberismo economico estremo (tranne quando c’era da salvare le banche) hanno potuto finalmente attuare in pieno i loro sogni. Nel contempo si è avviata per mezzo di una politica sociale, ispirata al genderismo, al transumanesimo e all’Lgtb, la demolizione della famiglia tradizionale, poiché essa è il perno insostituibile per ogni ordine statuale. La dittatura sanitaria è stata il compimento perfetto di un piano di controllo dell’umanità in generale. Mai nella storia un Leviatano è stato così capillare, pervasivo, totalizzante col consenso convinto della maggioranza dei popoli. Esistono, invero, ancora sacche di resistenza, composte soprattutto da appartenenti sopravvissuti del ceto medio.
Esso ha costituito la eccezionalità sociale del nostro mondo europeo, poiché, pur essendo parte integrante del popolo, è riuscito nel corso della storia ad esprimere i migliori talenti, vere espressioni di personalità libere. La sua distruzione è l’obiettivo finale dei Dominatori Finanziari che Nietzsche chiamerebbe i ciarlatani del mercato (globale). Essi sanno che con la sua scomparsa potranno dirigere il mondo senza impedimenti. Solo così la libertà e con essa la verità cesseranno, e le scimmie infere avranno il loro trionfo.