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PREMIERATO: UNA DOVEROSA PRECISAZIONE

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Le criticità emerse durante le audizioni in Commissione Affari costituzionali hanno indotto il governo ad emendare il testo del ddl originario sull’elezione diretta del Presidente del Consiglio, ma è la questione del ballottaggio che nasconde una linea di faglia imprescindibile.

Il 3 novembre 2023 il governo ha approvato il disegno di legge costituzionale per introdurre nell’ordinamento politico italiano il premierato, cioè l’elezione diretta del Presidente del Consiglio.

L’impianto iniziale della proposta, come si ricorderà, poggiava su alcuni capisaldi contenuti in cinque articoli. Previsti, in sintesi, la soppressione della nomina dei senatori a vita; l’esclusione dello scioglimento di una sola Camera; l’elezione diretta a suffragio universale del Presidente del Consiglio dei ministri; l’esclusione che questi possa essere un non parlamentare; l’elezione contestuale delle Camere; l’assegnazione di un premio pari al 55% dei seggi a liste e candidati collegati al Presidente del Consiglio; il conferimento dell’incarico, in caso di cessazione della carica, da parte del Presidente della Repubblica allo stesso Presidente del Consiglio dimissionario o ad altro parlamentare collegato al Presidente eletto (la norma antiribaltone).

Le successive audizioni di docenti universitari, costituzionalisti, presidenti emeriti della Consulta e forze sociali svolte nei mesi di novembre, dicembre e gennaio 2024 presso la Commissione Affari costituzionali del Senato hanno registrato un ventaglio di reazioni oscillanti dalla diffusa perplessità alla bocciatura senza appello, passando attraverso rilievi di ambiguità e forti critiche.

Alla base di ciò l’erosione del ruolo del Presidente della Repubblica, l’alterazione degli equilibri tra i poteri dello Stato a detrimento di pesi, contrappesi e prerogative attribuiti alle diverse cariche istituzionali, nonché la sottovalutazione di aspetti tecnici (es. quorum qualificati nelle elezioni parlamentari, a partire proprio dalle riforme ex art. 138 Cost.). Rilevata, inoltre, una alterazione della separazione dei poteri realizzata con elezione concomitante di Parlamento e Presidente del Consiglio con relativa accentuazione della debolezza del potere legislativo (e speculare erosione della sovranità del popolo) rispetto all’esecutivo; l’inferiore legittimazione (mediata) del Presidente della Repubblica rispetto a quella (diretta) dell’inquilino di Palazzo Chigi; oppure l’incoerenza tra elezione diretta del premier ed il permanere della fiducia parlamentare “in ingresso” al governo.

Allo scopo di depurare l’impianto normativo della riforma del premierato da alcune delle anomalie emerse nel corso delle audizioni, in Commissione Affari costituzionali del Senato il Governo ha presentato quattro emendamenti di modifica al ddl originario, ai quali si è aggiunto quello proposto dall’ex presidente di Palazzo Madama, sen. Marcello Pera. Gli emendamenti governativi sono stati adeguatamente esplicati nel blog del Prof. Stefano Ceccanti, ordinario di Diritto Costituzionale italiano e comparato alla Sapienza di Roma, al quale facciamo brevemente riferimento.

Il primo emendamento (modifica art. 88 Cost.) consente lo scioglimento delle Camere anche durante il cosiddetto “semestre bianco” quando si registri uno degli automatismi che portano allo scioglimento, ad esempio la caduta del secondo premier.

Il secondo emendamento (modifica art. 92 Cost.) propone il tetto di due legislature consecutive per il Presidente del Consiglio eletto a suffragio universale e diretto, limite che viene elevato a tre qualora i primi due mandati avessero durata complessiva inferiore a sette anni e mezzo. L’emendamento, inoltre, esclude l’indicazione di un premio di maggioranza fissato al 55% dei seggi, secondo la formulazione originaria che ne implicava la costituzionalizzazione; la quantificazione di tale premio viene invece riservata alla discrezionalità della legge elettorale, fonte normativa di rango ordinario. Manca, invero, l’indicazione di una soglia minima (fissa o dinamica) da raggiungere per attivare il premio. Lo stesso emendamento prevede la possibilità che il premier possa proporre al Presidente della Repubblica anche la revoca dei ministri.

Il terzo emendamento (modifica art. 57 Cost.), attraverso un rimando all’art. 92 Cost., prevede “necessario” il premio nazionale anche al Senato, così come avviene per la Camera.

Il quarto emendamento (modifica art. 94 Cost.) propone che: “In caso di revoca della fiducia al Presidente del Consiglio eletto, mediante mozione motivata, il Presidente della Repubblica scioglie le Camere. In caso di dimissioni volontarie del Presidente del Consiglio eletto, previa informativa parlamentare, questi può proporre, entro sette giorni, lo scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica, che lo dispone [principio del simul stabunt simul cadent]. Qualora non eserciti tale facoltà e nei casi di morte, impedimento permanente, decadenza, il Presidente della Repubblica può conferire, per una sola volta nel corso della legislatura, l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento con il Presidente del Consiglio”.

Un altro emendamento, avanzato dal senatore Marcello Pera, intende modificare l’art. 89 Cost. in modo che restino prerogativa esclusiva del Quirinale alcune potestà decisionali che non necessiterebbero della controfirma dei ministri proponenti. È il caso della nomina dei giudici della Corte costituzionale, della concessione della grazia, della commutazione delle pene, dell’indizione di elezioni e referendum, dell’invio di messaggi alle Camere, del rinvio delle leggi prima della promulgazione per chiedere una nuova deliberazione. Atti, insomma, che già rientrano in prassi consolidate, ma che con questo emendamento otterrebbero il crisma della sanzione costituzionale.

Osserviamo, a questo proposito, che il tentativo di veicolare tale emendamento come strumento di maggior chiarezza dei poteri del Presidente della Repubblica o di edulcorarne il contenuto come suo rafforzamento in funzione di necessario contrappeso in un sistema di premierato rischia di trasformarsi in una sorta di excusatio non petita…, o in un esercizio retorico che nulla toglie alle riserve formulate su una deriva esecutivo-centrica che già ora esprime in regime di monocameralismo funzionale il suo potere attraverso l’uso spregiudicato quali-quantitativo della decretazione d’urgenza, seguito dal ricorso alla fiducia in sede di conversione dei decreti legge.

Una considerazione politica, infine, che riguarda un aspetto posto al crocevia tra riforma del premierato, legge elettorale, premi di maggioranza e soglie di accesso: l’ipotesi del ballottaggio. Per il centrosinistra, prevedere una qualche forma di ballottaggio potrebbe significare addirittura aver da guadagnare col premierato. Paradossalmente (ma non troppo), se il centrosinistra smettesse di lamentarsi dell’attacco alla democrazia e focalizzasse il suo contributo su un premier eletto da una maggioranza e non da una minoranza potrebbe trarne beneficio. Lo stesso Ceccanti nel suo blog stigmatizza che: “si continua a non prevedere la maggioranza assoluta e l’eventuale ballottaggio per l’elezione diretta del premier, che pertanto potrebbe essere un premier di minoranza”.

Tuttavia – ecco il punto – il ballottaggio potrebbe godere di una sua giustificazione eziologica soltanto in caso di elezione diretta del Presidente della Repubblica, ufficio custode di funzioni super partes e quindi di garanzia istituzionale. Impropria risulterebbe, invece, la sua adozione per l’elezione diretta del premier, in termini di prassi politica e sociale, poiché il candidato vincente al ballottaggio riceverebbe al secondo turno l’investitura anche da chi non ha condiviso l’originario vincolante programma di governo sottoposto al vaglio delle urne, così determinando una indubbia “asimmetria amministrativa” tra mandanti e mandatario. I guasti prodotti dal sistema elettorale maggioritario andrebbero circoscritti e non aggravati.

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