L’entusiasmo per la conquista del numero delle firme necessarie per il quesito sulla cittadinanza agli stranieri evidenzia il disimpegno di una “Gen Z” incline a tecnologia, senso del branco, esaltazione passiva del follower, ma con scarsa capacità critica.
La raccolta delle firme per sostenere il referendum sulla cittadinanza agli stranieri – promossa da +Europa e volta a dimezzare da dieci a cinque anni, al verificarsi di determinate condizioni, il lasso temporale per accedere al diritto di divenire cittadini italiani – ha brillantemente raggiunto e superato con oltre 637.000 firme il numero minimo di sottoscrizioni (cinquecentomila) previsto dal primo comma dell’art. 75 della Costituzione.
L’art. 32 della legge n. 352 del 1970 – quella che ha stabilito la regolamentazione di dettaglio e le modalità di attuazione dell’intera materia referendaria – stabilisce che le richieste di referendum debbano essere depositate tassativamente entro il 30 settembre di ogni anno presso la Corte di cassazione per il relativo giudizio di conformità alla legge.
IL CIRCO MEDIATICO
Ebbene, nei primi tre giorni della settimana iniziata lunedì 23 settembre il numero delle sottoscrizioni è balzato da circa 300.000 ad oltre mezzo milione, oltrepassando di slancio la soglia obbligatoria. Un miracolo? No, la spiegazione risiede nella modalità di raccolta delle adesioni che, sulla scorta della legge n. 108 del 2021 di conversione del precedente decreto legge n. 77, prevede la possibilità di sottoscrivere un quesito referendario on line, collegandosi al sito del Ministero della Giustizia ed autenticandosi con il sistema pubblico di identificazione digitale (spid).
È bastato, quindi, che il circuito mediatico – opportunamente sollecitato dall’intervento di noti personaggi engagés ed ideologicamente schierati dello spettacolo, della cultura, del giornalismo, ecc. – si mettesse in movimento per imprimere un impulso formidabile al raggiungimento del limite minimo. Si è parlato di circa cinquemila firme all’ora. Dati che fanno impallidire le tradizionali prassi di sottoscrizione negli uffici comunali o nelle piazze sotto il sole estivo con i relativi onerosi adempimenti di autenticazione. Tutto bene, dunque?
FIRME TROPPO FACILI
Da un punto di vista del favore per questa modalità di esercizio della volontà popolare, nulla quaestio. Fermo, comunque, il duplice passaggio obbligatorio all’Ufficio centrale costituito presso la Corte di Cassazione per la dichiarazione di legittimità e alla Corte costituzionale per la cognizione di ammissibilità. La semplicità nel raggiungere il risultato impone, tuttavia, qualche riflessione metodologica e di opportunità politica. A partire proprio dal citato requisito delle 500.000 firme oggetto di giustificate riflessioni sull’opportunità di innalzarlo ad un milione o forse più.
A prescindere dalla implicita delegittimazione dell’attività parlamentare – primaria espressione della democrazia rappresentativa –, vi è la concreta possibilità che il sistema di autenticazione on line possa determinare una proliferazione di richieste referendarie con conseguente disaffezione per uno strumento di partecipazione percepibile come inflazionato. Non a caso, dopo il facile, forse eccessivo, superamento delle 500.000 sottoscrizioni digitali di fine settembre, si è parlato di pericoloso effetto-influencer.
Una deriva tecnologica di certo non immaginata nel dibattito in Assemblea Costituente per uno strumento originariamente concepito come correzione ed integrazione del sistema rappresentativo parlamentare, ma che può produrre effetti collaterali dall’esito esiziale. La provocatoria proposta di un senatore leghista di abolire la raccolta di firme on line dovrebbe invero essere valutata alla luce di queste considerazioni e non banalizzata.
DEMOCRAZIA DEI LIKE
Una riflessione ulteriore la si vuole dedicare agli artefici inconsapevoli di questo effimero exploit e delle sue prevedibili conseguenze. I giovani, probabilmente il target privilegiato della recente campagna di sottoscrizione orchestrata dalla strategia mediatica di abili testimonial (sostanziale il contributo, infatti, della fascia di età 18-32 anni), si sono lasciati convincere ed hanno firmato il quesito con un approccio simile o addirittura sovrapponibile alle motivazioni superficiali che muovono ad apporre un distratto like (cioè un “mi piace”) ad un post su un social network.
Alla volontà di approfondimento, all’analisi critica e al radicamento politico – requisiti sottostanti alla riuscita di storiche campagne e lotte referendarie dei decenni passati – temiamo che si sia sostituita la semplificazione dell’hic et nunc senza prospettiva, l’adesione ad una moda veicolata dallo stato d’animo del momento, l’alternativa à la page allo spritz, l’emulazione tra monadi prive di coscienza collettiva e condivisione di destino.
ENTUSIASMO INGIUSTIFICATO
Attenzione dunque – rivolgendoci ai promotori – a cantare vittoria troppo presto e a proiettare la facilità della sottoscrizione on line sul raggiungimento del quorum di partecipazione alle urne. Diffidiamo di chi disdegna sporcarsi le dita con l’inchiostro dei giornali cartacei preferendo la consultazione delle versioni digitali delle testate di informazione; così come guardiamo con sospetto chi si limita a scorrere velocemente titoli, foto e didascalie, ma non a leggere gli articoli poiché reputati troppo impegnativi.
Crediamo che i profili appena tracciati – di chi, cioè, ha una curva di attenzione alla lettura inferiore ai dieci secondi – siano pressoché sovrapponibili a quelli di chi firma quesiti referendari con lo spid sull’onda di impulsi indotti da convinzioni transitorie. Si consideri, infine, che un astensionismo “politico” del 50% registrato alle Europee di giugno ed una disaffezione “referendaria” pari all’80% riscontrata ai referendum del 2022 – determinati proprio dal progressivo distacco dei diciottenni che anno dopo anno si affacciano nel novero dell’elettorato attivo – non dovrebbe consigliare sonni tranquilli agli entusiasti promotori.