Ci sono suppliche laiche che meriterebbero di essere ascoltate, sospinte fino agli altari “sacri” della democrazia, se veramente la sovranità appartenesse al popolo.
Ho visto persone schiacciate da una pressione idraulica contro il cemento, affermare il dissenso contro criminali negazioni.
Alcune di loro indossavano abiti da lavoro, altre stringevano rosari tra le dita, sacralizzando oltremisura il disfacimento dei fondamenti costituzionali, altre ancora, araldi di una normalità vinta dal quotidiano esistere, urlavano a divise insensibili il disperato bisogno di comunità e giustizia terrena che ci costringe separati, accartocciati negli invisibili angoli dell’egoismo di comodo.
Guerra tra stipendiati e salariati, tra redditi protetti e disoccupati, tra sani e presunti malati, tra vecchi e giovani, tra controllori e controllati, tifoserie inventate ad ogni nuovo giro di giostra dell’ opinionismo d’accatto… ‘ma il cielo è sempre più blu’.
I prodromi di questi plurimi divorzi facevano sorridere: l’italianuzzo inconsapevole prostrato al cospetto di format costruiti tutti intorno a lui, randellato dalle pirotecniche abilità oratorie di conduttori coadiuvati da oscuri autori, maestri occulti nel maneggiare le pericolose contraddizioni in seno al popolo.
Né avanti, né indietro tutta, ma… a tutto sprofondo!
Ci sono suppliche laiche che meriterebbero di essere ascoltate, sospinte fino agli altari “sacri” della democrazia, se veramente la sovranità appartenesse al popolo.
Ve ne sono altre che turbano la stabilità stessa della vita e in genere invocano una ridda inesauribile di diritti e respingono anche i più semplici e sensati doveri.
Il sospetto che questa sovranità appartenga da lungo tempo ad un’oligarchia autoreferenziale dei peggiori, è divenuto certezza, un granitico disincanto schiaffeggiato da manganelli, respinto da scudi di plexiglass, crivellato da leggi inique, appoggiato da professionisti della statistica e dell’algoritmo: golem teleguidati, gelidi traders dell’anima, esecutori diretti o indiretti di una mattanza sociale eseguita giocando al rialzo, scommettendo sul default economico, nervoso, emotivo, mentale della società liquida, ormai in via d’ evaporazione… il future più redditizio che ci sia.
Una società strattonata da talk politicamente disambigui, satura di strilli che intossicano il libero pensiero, immunizzata contro il sano cambiamento di facce e colori, quando la matita cala nel frammentato silenzio della cabina elettorale e, lo stare con se stessi, un’abitudine persa da secoli, terrorizza la sicura tranquillità del non rischiare.
In difesa di tale pericolosa stilla delle viscere, l’espressione più docile si manifesta nel porre quel graffito sul simbolo già visto e conosciuto, incastonato in neuroni aggrovigliati in modalità risparmio cognitivo, ignari della propria conformista schiavitù brandizzata.
Quelle resistenze contro violenze d’acqua e istituzionali, pensavano in molti, promettevano un riscatto, anche se con i ricattatori non bisogna mai scendere a patti.
Oggi, dopo mesi di astrazioni fondate su oceaniche adunate di piazza, i nuovi adulatori del popolo, scelti nel segreto di migliaia di laici confessionali, eletti a possessori dei consessi collinari della Capitale, si ritrovano a fronteggiare vecchi problemi con vecchi strumenti e solite, solide rendite di posizione corroborate da mensilità a cinque zeri.
Rivoluzione è parola confinata nel sidereo astronomico, nell’anfratto storico rispolverato, di quando in quando, da professori di storia attratti dal facile like e dall’incetta di visualizzazioni sul tubo.
Tutto molto trasgressivo, come fumare nei corridoi durante le lezioni più noiose, in genere le più importanti, corridoi oggi ridotti a poltrone ergonomiche davanti a schermi piatti in ossequio a piatte esistenze.
Alla fine, dilagano i divertimenti di massa, e forse, smuovere i glutei in direzione contraria, verso i creatori e i distributori di illusioni, non è solo un esercizio ginnico da un’ora al giorno o scambiare un divano col sellino di una superbike, ma mettere in pericolo la convinzione che, se non ti prendi in faccia, sulla schiena, nello stomaco gli strali del potere dominante, le tue suppliche laiche non otterranno risposta, perché, in altri luoghi e in altri cieli, la sovranità appartiene a Dio.
Il resto è libero arbitrio, un arcaico modo di definire il dominio della coscienza, anch’essa un arnese arrugginito e in disuso che, prima o poi, occorrerà riutilizzare per non usare a sproposito il termine responsabilità e non essere ricordati da psicologi del tempo post-apocalittico che verrà, involucri senz’anima.