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Giorgia Meloni si è avviata sulla stessa strada di Fini

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Meloni non ha amici in Europa e quindi, non trovando gran sponda a Bruxelles, la cerca a Washington, e si fa forte di essa. Puntare oggi solo sugli Stati Uniti, come sta facendo Giorgia Meloni, significa puntare su una potenza in netto declino nello scenario globale. Ma Giorgia Meloni sembra sottovalutare la ”politica dell’usa e getta”, cui gli Stati Uniti sono da sempre abituati. Quando il governo Meloni a Washington non servirà più i poteri forti del “deep state” americano troveranno rapidamente l’alternativa. Essa ha nome Elly Schlein.  

 

Quando è cominciato ad essere evidente che Giorgia Meloni ed il suo governo davanti alla guerra d’Ucraina si appiattivano nella acritica sudditanza alla posizione (ed agli interessi) degli Stati Uniti, contro ogni evidenza io mi ostinavo a sperare che essa si comportasse in realtà come un capitano, che sa che non può mettere la vela contro il vento, che lo respingerebbe indietro o rovescerebbe la nave, e naviga perciò di bolina, virando un po’ a dritta e un po’ a manca. Ma alla luce delle scelte ulteriori di fervente e sperticata ortodossia euro atlantica che si susseguono ininterrottamente da parte sua e del suo governo, la mia speranza è svanita rapidamente.

Giorgia Meloni non sta navigando di bolina per risalire il vento contrario cioè per attenuare i vincoli esterni, senza prenderli di petto; sta andando dritta dritta in una sola direzione: verso gli Stati Uniti. Pensa, evidentemente, ancorandosi in quel porto, di assicurarsi piena legittimazione a governare a lungo l’Italia, malgrado il “peccato originale” della sempre più sbiadita origine neofascista sua e dei suoi “Fratelli d’Italia”. Insomma: sta ripercorrendo la strada di Fini. E mi pare stia anche cadendo nella stessa trappola.

Ripercorrendo la via di Canossa aperta da Fini, ma soprattutto appoggiando senza alcuna riserva la strategia americana nella guerra d’Ucraina, e per giunta stringendo anche un cordialissimo “Patto d’acciaio” con l’Israele di Benjamin Netanyahu, cioè col leader più disinvolto e cinico del governo più nazionalista e teocratico del Paese che è da sempre strumento strategico della politica dell’Impero americano nel Mediterraneo, pensa evidentemente di stipulare una sorta di contratto di assicurazione per sé e per il suo governo.

Ci credo poco, ma potrebbe essere anche, nel profondo dei suoi pensieri segreti, una tattica machiavellica: che non trovando gran sponda a Bruxelles, la cerca a Washington, e si fa forte di essa. Ma anche in questo caso, credo che il suo sia un calcolo errato, che rischia di avere per l’Italia conseguenze gravi.

In primo luogo può creare un vallo di separatezza tra l’Italia e l’Europa. Non l’Europa di Bruxelles, ovviamente, che oggi è completamente prona davanti agli Stati Uniti, ma l’Europa reale, quella dei popoli e dei loro interessi permanenti, che finirà con l’emergere, e recupererà sovranità proprio divaricandosi dagli Stati Uniti.

Puntare oggi solo sugli Stati Uniti, come sta facendo Giorgia Meloni, significa inoltre puntare su una potenza in netto declino nello scenario globale. E non solo perché la sua economia reale è stata pesantemente indebolita da decenni di deindustrializzazione, di delocalizzazioni, di mancati investimenti, e sulla sua economia finanziaria incombe un apocalittico collasso, di cui si avvertono già le prime scosse ricorrenti, ma anche perché sul piano politico Washington sta perdendo su tutti i fronti, mentre la Cina, cui si è unita la Russia in una alleanza totale, emerge inesorabilmente come nuova superpotenza.

Basta solo sottolineare due ultimi episodi. L’Arabia Saudita, com’è noto, ha cambiato fronte ed ha chiesto di entrare nel Gruppo dei BRICS (Brasile, Russia, Cina, India e Sud Africa) che ora si chiamerà BRICS PLUS perché un gruppo di nuovi Paesi strategicamente importantissimi si appresta ad entrarvi.  Ma il prossimo ingresso nei BRICS dell’Arabia Saudita è solo l’inizio di una frana che sta investendo tutto il Medio Oriente, l’Asia Occidentale, il Mediterraneo, l’Africa, il Sud America.

Sotto la regia cinese infatti due acerrimi nemici, Iran e Arabia Saudita, candidatisi ambedue ad entrare nel BRICS PLUS, hanno deciso di riallacciare le relazioni diplomatiche. Non solo: stanno già concordando accordi nel settore dell’energia ed in quello della difesa. Non si tratta dunque solo di un riavvicinamento. Se, come è logico supporre, questi propositi si concretizzeranno, si tratta di una sorta di associazione, di partenariato nei due campi d’azione più vitali per un Paese. L’accordo, pazientemente tessuto dalla diplomazia cinese, apre dunque potenzialmente la strada alla pacificazione di un’area vastissima e strategicamente vitale, ed avrà presumibilmente l’effetto di stabilizzare Siria e Libano nel Mediterraneo (ove anche l’Algeria ha chiesto di entrare nel Gruppo BRICS PLUS), lo Yemen e Gibuti, nello stretto che collega il Mar Rosso con l’Oceano Indiano, altro punto strategicamente vitale non solo per il traffico di petrolio, ma anche per quello della Cina e del Sud Est asiatico verso l’Europa. Così come il Corno d’Africa, ove l’onda della “pax cinensis” si potrebbe estendere all’Eritrea e all’Etiopia, ed all’Afghanistan nell’Asia Sudoccidentale. Quella “pax cinensis” insomma, come hanno osservato gli stessi organi di stampa occidentali, “ha sconvolto i vecchi rapporti di forza lasciando gli Stati Uniti ai margini” e“indebolisce e restringe il ruolo degli Stati Uniti come grande potenza in Medio Oriente”.

Secondo episodio.  La sconfitta elettorale in Brasile di Bolsonaro, legato agli Stati Uniti, ed il ritorno di Lula alla presidenza, com’era facilmente prevedibile, ha aperto le porte ad una più attiva e decisa presenza brasiliana in seno ai BRICS; presenza che con Bolsonaro era divenuta più formale che sostanziale. Ma per la rotazione delle cariche, era il brasiliano Marcos Troyjo. nominato da Bolsonaro nel 2020, a presiedere ancora la Banca per lo Sviluppo dei BRICS. Ebbene: Troyjo è stato “dimissionato” da Lula, che al suo posto ha mandato la ex presidentessa del Brasile Dilma Roussef, da sempre sostenitrice di un forte ruolo del Brasile nei BRICS e notoriamente contraria alle politiche liberiste che gli Stati Uniti professano ed impongono.

Se si aggiunge che anche l’Argentina (l’altro maggior Paese dell’America meridionale) ha chiesto di entrare nel Gruppo dei BRICS, appare evidente che l’influenza di Washington sta scemando anche nel “cortile di casa”.

Alla luce di quel che sta accadendo un po’ ovunque nel Sud del mondo, e nel Mediterraneo, alle porte di casa nostra, l’appiattimento del governo italiano su posizioni che ricalcano quelle di Washington mi pare, oltretutto, una scelta anacronistica. Fa riferimento cioè ad una situazione del passato, più che a quella del presente e soprattutto del futuro.

Si potrebbe obiettare che essa è condizionata ed obbligata dalla nostra appartenenza alla NATO, e che “così fan tutti” i Paesi di quest’Europa. Ma a parte il fatto che persino la nostra Prima Repubblica, in uno scenario internazionale persino più teso, qualche margine di libertà rispetto a quei vincoli se li concedeva, della NATO fanno parte anche l’Ungheria e la Turchia. Ciononostante l’Ungheria ha assunto una posizione radicalmente diversa e il presidente turco Erdogan nella crisi della guerra d’Ucraina ha mantenuto e mantiene il dialogo con Putin, e cerca persino di ritagliarsi un ruolo di mediatore.

Quanto poi all’asse preferenziale con Israele, recente “invenzione” del governo Meloni (ecco il secondo grave errore) esso rischia di isolarci nel Mediterraneo. Perché Israele, come ammoniva il Generale De Gaulle, è “un’isola in odio al mare che la circonda”. Il mare che la circonda è quello dei Paesi arabi. Un mondo che si distende ininterrotto dal Golfo Persico allo stretto di Gibilterra, ed occupa gran parte della riva orientale e tutta quella meridionale del “mare nostrum”. Un mondo che, in generale, non ama certo né Israele né gli Stati Uniti.

Ed infine Giorgia Meloni sembra sottovalutare la ”politica dell’usa e getta”, cui gli Stati Uniti sono da sempre abituati, (vedi il loro comportamento in Vietnam, in Afganistan, in Iraq, in Sud America ecc).

Per quando il governo Meloni a Washington non servirà più o rischierà di non aver più la maggioranza, i poteri forti del “deep state” americano stanno già rapidamente costruendo l’alternativa. Essa ha nome Elly Schlein.

Una cosa è certa: se la situazione economica interna ed internazionale precipitasse, ed il governo Meloni non trovasse già da prima la forza di cambiar musica, il favore dell’elettorato scomparirebbe rapidamente, come rapidamente è arrivato. E Giorgia Meloni diverrebbe una stella cadente: una scia luminosa che improvvisamente appare, e subito si spegne, come le tante che l’hanno preceduta: da Berlusconi a D’Alema, da Bossi a Grillo, da Fini a Renzi. Finché finalmente, dopo tanto buio, tornerà l’alba di un giorno nuovo.

 

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