Home politica estera La decomposizione dell’Occidente e la guerra civile mondiale

La decomposizione dell’Occidente e la guerra civile mondiale

5109
0

Una “nuova Europa” a trazione polacca, ideologicamente russofoba e concepita come piattaforma armata funzionale alle strategie espansionistiche americane va sostituendosi alla “vecchia Europa” franco – tedesca. L’occidentalizzazione del mondo si identifica con lo sradicamento delle identità culturali dei popoli, la società di mercato, l’individualismo assoluto. Con il nuovo ordine multilaterale, va delineandosi una guerra civile mondiale che si articola nella contrapposizione tra occidentalismo globalista e sovranità degli stati.

Fine della storia o fine dell’Occidente?

La fine della storia è una teoria ideologico  – storiografica smentita dal corso incessante dei processi evolutivi tuttora in atto della storia stessa, ma che tuttavia oggi rivela una sua credibilità: la fine della storia si identifica con la fine dell’Occidente. Nei primi anni ’90, con il crollo dell’URSS e l’imporsi del dominio globale americano la teoria della fine della storia ebbe la sua consacrazione ideologica. Con il predominio incontrastato dell’Occidente, si sarebbe imposto un universale ed irreversibile sistema economico, sociale e politico neoliberista. Quindi la storia sarebbe giunta al suo definitivo compimento e avrebbe realizzato tutte le sue finalità.

L’Occidente non si identifica con l’Europa, né quest’ultima con la UE, ma con il primato mondiale degli USA. E questo Occidente è oggi coinvolto in un processo di progressiva, ineluttabile, irreversibile decadenza. L’Occidente è infatti eroso da fattori di dissoluzione interna derivanti proprio dalla sua autoreferenza, dalle sue stesse pretese universalistiche, dall’unilateralismo messianico dell’espansionismo americano. Il venir meno del primato economico degli USA scaturisce dalla congenita instabilità di un sistema finanziario rivelatosi irriformabile. La sua artificiale sussistenza è resa possibile solo da incessanti emissioni di liquidità e tassi a zero. La fine del primato geopolitico e geostrategico americano è dovuta invece alla genetica incapacità degli USA di concepire l’esistenza di un “altro da sé”, cioè di una qualsiasi civiltà fondata su valori etici differenti e dotata di un sistema politico di diverso orientamento.

L’Occidente si dissolve dunque perché incapace di confrontarsi con un mondo multilaterale emergente, di rinnovarsi ed inserirsi nei processi di trasformazione della geopolitica mondiale in atto. Il fondamentale paradigma della strategia geopolitica dell’Occidente è quello basato sulla logica dei blocchi contrapposti ereditata dalla Guerra fredda, idonea a legittimare il ruolo geopolitico della potenza americana dominante nel mondo in funzione del nemico assoluto di turno. Tale logica si rivela però incompatibile con il nuovo ordine mondiale emergente, inspirato al multilateralismo. La contraddizione interna dell’unilateralismo americano è evidente. Lo status di potenza mondiale deriva dal riconoscimento di un ordine internazionale istituitosi nell’ambito di un organismo composto da molteplici altre potenze. La concezione di un’unica potenza assoluta è pertanto incompatibile con la sussistenza di un qualsiasi ordinamento internazionale.

Il declino dell’Occidente (che coinvolge soprattutto l’Europa), è la conseguenza logica di una nemesi storica scaturita dalla stessa ideologia della fine della storia. L’Europa (e con essa tutto l’Occidente), è in una crisi irreversibile perché ha concepito se stessa come una entità subalterna alla geopolitica della potenza globale americana collocandosi in una dimensione post storica. Questa fuoriuscita dalla storia ha comportato la perdita della propria identità culturale e della sua memoria storica. Il suo destino sarà quindi la marginalizzazione e l’isolamento nel contesto geopolitico mondiale del prossimo futuro.

Chi distruggerà la “vecchia Europa”? Non la Russia, né la Cina, ma la Nato

Il conflitto russo – ucraino, il cui esito la cui durata ed il cui esito restano imprevedibili, ha assunto un rilevante significato geopolitico. Esso rappresenta una singola fase di un confronto estesosi a livello globale tra l’Occidente e le potenze emergenti. L’attesa grande avanzata russa non si è verificata. La battaglia di Bakhmut ha solo un significato simbolico, nel contesto di una guerra di logoramento in cui la Russia mira alla distruzione delle infrastrutture ucraine, disponendo di risorse umane ed armamenti largamente maggiori che le consentiranno probabilmente di resistere alla controffensiva dell’Ucraina. Quest’ultima peraltro, può resistere solo in virtù del sostegno bellico occidentale in uomini e armamenti. La Russia vuole logorare l’Occidente. Il sostegno all’Ucraina si sta rivelando eccessivamente gravoso per l’Occidente e ha avuto l’effetto di distogliere ingenti quantità di armamenti americani destinati al contenimento della Cina nell’Indo – Pacifico, che resta il principale obiettivo strategico della geopolitica americana.

Il fine strategico dei russi è dunque quello di dividere il fronte occidentale che in Europa è già divaricato in due blocchi, quello dei paesi baltici e orientali russofobi e fautori di una guerra ad oltranza con la Russia e quello dell’Europa centrale, incline al pacifismo e ad una conclusione diplomatica del conflitto. Così si esprime Fabio Mini in una intervista del 04/04/2023 pubblicata su “Il Sussidiario.net”: “Sperano sempre in una dissoluzione del consenso occidentale, che faccia cadere l’Ucraina da sola. Gerasimov (il capo di stato maggiore russo, nda) ha avuto notorietà per una dottrina che prende il suo nome la quale prevede tutti i metodi per conseguire obiettivi militari senza le forze militari”… “Perché l’Ucraina, secondo i russi, è già finita: il bacino di riserva di Kiev è solo l’Occidente. Basterebbe un cambiamento di carattere politico in Occidente per poter assegnare la vittoria alla Russia senza problemi”.

Il fatto nuovo più eclatante emerso dalla guerra ucraina è rappresentato dal ruolo di protagonista assunto dalla Cina nella attuale geopolitica mondiale. Le sanzioni occidentali non hanno avuto l’effetto di isolare la Russia, ma bensì quello di creare una convergenza strategica tra Russia e Cina. La Russia ha coinvolto la Cina nei progetti della rotta del Nord nell’area dell’Artico. Trattasi della realizzazione di una rotta commerciale e strategica (in funzione anti USA), nell’Artico alternativa alla Via della Seta, con conseguente esclusione dell’Europa. La partnership russo – cinese si estenderà a grandi progetti di ferroviari, alla tecnologia spaziale, con la costruzione di un campus russo nell’isola di Hainan (rilevante anche dal punto di vista strategico), all’espansione di vaste aree di scambi commerciali con i paesi del BRICS alternative al dollaro. Tali iniziative in futuro potrebbero condurre alla creazione di un fondo monetario asiatico in competizione con l’area del dollaro. L’interscambio russo – cinese è raddoppiato rispetto allo scorso anno, raggiungendo il valore di 183 miliardi di dollari.

In questo contesto si inserisce la visita di Macron in Cina. Macron, mosso dalla esigenza di riconquistare in patria un consenso assai compromesso dalle rivolte popolari tuttora in corso in Francia, vuole rivendicare un ruolo di “autonomia strategica” dell’Europa rispetto agli USA. Egli infatti ha affermato: “L’Europa deve ridurre la sua dipendenza dagli Stati Uniti ed evitare di farsi trascinare in uno scontro tra Cina e USA sulla questione di Taiwan”.

L’iniziativa di Macron è esplicativa del malessere di una Europa che sconta gli effetti della crisi energetica e dell’interruzione della Via della Seta a causa della guerra. E l’ostilità degli USA verso una Europa indipendente è da sempre conclamata. Macron, in nome dell’Europa, vuole comunque tutelare gli interessi francesi, con l’intento di effettuare grandi investimenti in Cina, tra i quali assume particolare rilievo la produzione di aeromobili Airbus. La Cina ha però posto come condizione il rispetto degli accordi commerciali già sottoscritti dall’Europa per gli investimenti cinesi, ma venuti meno con la guerra. Le relazioni economiche con la Cina comportano quindi una scelta di campo di carattere geopolitico da parte dell’Europa, che tuttavia si rivela incompatibile con la posizione filo – atlantica assunta dalla UE nella guerra russo – ucraina e nell’area dell’Indo – Pacifico.

La Cina ricopre oggi un ruolo primario nella geopolitica mondiale, che si rivela decisivo all’interno dell’area eurasiatica e che potrebbe provocare gravi contrasti nell’ambito della stessa Nato. Come ha affermato Giulio Sapelli in un articolo del 09/04/2023 pubblicato su “Il Sussidiario.net” dal titolo “Xi è riuscito a spaccare l’Occidente e isolare l’Ucraina”: “Insomma, in questo modo si esalta il ruolo della Cina e si sottolineano le divisioni degli alleati nella Nato appena si abbandona il clangore delle armi per impugnare lo stendardo della negoziazione e della ricerca di occasioni di pace, a cominciare dal cessate il fuoco nelle terre nere dell’Ucraina. La Cina – dicevo – trova così una riconsacrazione diplomatica mentre gli Stati europei si presentano disuniti. Scholz si era già recato in Cina in solitudine e così oggi fa Macron, mentre sauditi e iraniani superano le loro differenze storiche profondissime e così rendono cupo l’orizzonte alle soglie del continente europeo”.

Macron non si è dimostrato dunque un interlocutore europeo credibile agli occhi della Cina. L’Europa infatti non può rivendicare un ruolo di terzietà nel confronto cino – americano, in quanto una autonomia strategica europea comporterebbe la rottura con la Nato.

Non hanno tardato a manifestarsi atteggiamenti di ostilità nei confronti dell’iniziativa di Macron da parte americana e dei paesi filo – Nato dell’est europeo. E’ emersa la già latente contrapposizione tra “vecchia Europa” tedesca e “nuova Europa” a trazione polacca. Con la rottura con la Russia, la ricompattazione dell’Europa nell’ambito della Nato ed il declassamento della potenza economica tedesca, il baricentro della UE si è spostato ad est, con l’affermazione di una nuova leadership polacca in seno all’Europa. La “nuova Europa” funzionale alle strategie atlantiste è stata ben delineata dal leader polacco Mateusz Morawiecki, secondo cui alcuni paesi europei “sognano di cooperare con tutti, compresa Russia e alcuni potenti stati in Estremo Oriente. Mettiamo in guardia contro questo, vogliamo vivere in pace con tutti, ovviamente. Ma invece di un’autonomia strategica dagli Stati Uniti, propongo una partnership strategica con gli USA”.

Il primato polacco in Europa è inoltre intimamente legato al progetto del “Trimarium”, che consiste nella creazione di un’area strategica a guida polacca estesa dal Baltico, alla Romania e alla Croazia, del tutto conforme alle strategie americane di interporre tra la Russia e la Germania un vasto territorio sotto il controllo della Nato. Va dunque delineandosi una “nuova Europa” ideologicamente russofoba e concepita come piattaforma armata funzionale alle strategie espansionistiche americane in Eurasia. Secondo quanto afferma Giacomo Gabellini in un articolo del 16/04/2023 intitolato “Come la “nuova Europa” ha gettato la “vecchia” sull’orlo del precipizio” e pubblicato sul blog “L’AntiDiplomatico”: “Concetti sostanzialmente analoghi erano stati espressi durante una pressoché concomitante visita alla Casa Bianca, in occasione della quale Morawiecki aveva proclamato la Polonia «leader della “nuova Europa”» in virtù del «fallimento della “vecchia Europa”» a trazione franco-tedesca. Una dicotomia che rievoca la distinzione proposta per la prima volta agli albori del 2003 dal segretario alla Difesa Usa Donald Rumsfeld, che additava il supporto al piano di invasione dell’Iraq accordato senza remore dalla “nuova Europa” appena inglobata nella Nato come esempio positivo da contrapporre all’atteggiamento da voltagabbana adottato in proposito dalla “vecchia Europa” – in sede di Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Francia si era addirittura spinta ad avvalersi, di concerto con Cina e Russia, del diritto di veto per bocciare proposta di aggressione dell’Iraq presentata dagli Usa”.

Da questa situazione emerge chiaramente che non saranno né la Russia e né la Cina a provocare la dissoluzione di una Europa che è invece erosa al suo interno dalle strategie della Nato. Si evidenzia pertanto un macroscopico vuoto geopolitico all’interno dell’Europa generatosi con il declino della Germania. La Nato ha prodotto divisioni insanabili in una Europa, il cui destino è ormai legato a scelte strategiche ineludibili. Le possibilità di sopravvivenza della “vecchia Europa” dipendono dalla sua capacità di assumere una soggettività geopolitica indipendente dalla Nato, dato che l’implosione della UE è ormai prossima.

Ucraina: una guerra esistenziale per Russia ed USA

E’ stato più volte ribadito da Putin che la guerra in Ucraina assume un carattere esistenziale per la Russia. Del resto, da parte americana fu lo stesso Zbigniew Brzezinski a dichiarare nel 1991 in occasione dell’indipendenza dell’Ucraina, che essa costituiva “un nuovo e importante spazio dello scacchiere euroasiatico” senza il quale sarebbe venuta meno la vocazione imperiale della Russia quale impero euroasiatico, con prospettive esclusivamente asiatiche.

Al di là delle problematiche storico – culturali riguardanti la vocazione imperiale della Russia, questo conflitto assume un carattere epocale ed esistenziale per la Russia stessa, per motivazioni geopolitiche evidenti. E’ infatti in gioco il ruolo di potenza mondiale della Russia (già definita spregiativamente “potenza regionale” da Obama), nell’ambito del nuovo ordine mondiale multilaterale che va emergendo.

Ad una sconfitta della Russia farebbe riscontro una conseguente espansione della Nato nell’Eurasia, una implosione dei paesi del Caucaso e dell’Asia centrale, aree strategiche che, se sottratte all’influenza russa e inglobate nella Nato, costituirebbero una grave minaccia per la stessa Cina. Una sconfitta della Russia comporterebbe inoltre la sua estromissione sia dall’area del Medio Oriente che dall’Africa. La stessa perdita del Donbass e della Crimea, inibirebbe alla Russia l’accesso al Mar Nero e quindi anche al Mediterraneo.

Parimenti esistenziale è divenuta la guerra ucraina per gli USA e l’Occidente. A seguito degli accordi di pace tra Iran ed Arabia Saudita patrocinati dalla Cina, presto verrà meno la ragion d’essere della presenza militare americana nel Golfo Persico. L’Arabia Saudita, oltre ad aver istituito una partnership stabile con la Cina, si è rifiutata di aderire alla proposta americana di non diminuire la propria produzione petrolifera, decisione che si tradurrà in un aumento del prezzo del greggio e che inevitabilmente favorirà anche la Russia.

Il Pil dei paesi del BRICS è ormai superiore a quello dei paesi del G7. Va espandendosi ovunque il processo di dedollarizzazione del commercio mondiale. La presenza russo – cinese in Africa è sempre più diffusa con conseguente estromissione dell’Occidente dal continente africano. La indecorosa ritirata americana dall’Afghanistan e le misure sanzionatorie contro la Russia sono eventi che hanno gravemente intaccato la credibilità degli USA in Medio Oriente e nel terzo mondo. Il declino dell’Occidente nel mondo è ormai palese. In caso di sconfitta in Ucraina la stessa Nato si dissolverebbe.

La sussistenza stessa della potenza americana è dunque subordinata all’esito della guerra ucraina. Gli USA hanno comunque conseguito una vittoria con la ricompattazione dell’Europa nella Nato, che è però legata alla sussistenza del nemico assoluto di turno rappresentato questa volta dalla Russia. Il successo americano più rilevante è tuttavia costituito dal ridimensionamento della potenza economica tedesca già temibile concorrente nel mercato americano.

Il declassamento europeo si inserisce peraltro nella strategia americana di rilancio del primato economico – tecnologico degli USA nel mondo, già promossa da Trump e proseguita poi da Biden. Attraverso un vasto programma di incentivi pubblici gli USA stanno promuovendo la rilocalizzazione della produzione industriale americana già dislocata in Cina e in altri paesi asiatici. Nel biennio 2021 – 2022 sono stati creati circa 800.000 nuovi posti di lavoro. Inoltre Biden, con il varo dell’I.R.A. (Inflation reduction act), ha intrapreso una politica protezionista che prevede lo stanziamento di 370 miliardi di fondi pubblici per incentivare le tecnologie sostenibili.

Tali misure americane favoriranno la delocalizzazione dell’industria tecnologica europea negli USA, ove i costi energetici sono ridotti a circa un quarto rispetto a quelli europei. L’Europa, con l’interruzione delle forniture energetiche russe, nel solo 2022 ha importato oltre 50 miliardi di metri cubi di gas liquido dagli USA ad un prezzo di 4/5 volte superiore. Sull’Europa, a causa della politica protezionista americana, incombe un processo di desertificazione industriale e tecnologica. La UE subisce quindi le conseguenze del proprio servilismo atlantico.

Finisce l’Europa del dopoguerra?

La guerra ucraina ha determinato l’ingresso nella Nato della Finlandia e nel prossimo futuro anche della Svezia, che hanno posto fine alla loro politica neutralista.

Alla Finlandia, che aveva partecipato alla 2a G.M. come alleato della Germania contro l’URSS, fu imposto, quale paese sconfitto, dalla Unione Sovietica nel 1948 un trattato che prevedeva la sua neutralità in cambio della indipendenza. Tale trattato fu rinnovato nel 1992 con un accordo bilaterale con la Russia. Con la sua adesione alla Nato, la Finlandia ha violato un trattato internazionale vincolante, che prevedeva il mantenimento del suo status di paese neutrale, rendendosi in tal modo complice della strategia americana di accerchiamento della Russia.

La Polonia, in spregio ai trattati di pace sottoscritti ha rivendicato un risarcimento di 13 miliardi dalla Germania per i danni di guerra. La Polonia inoltre non ha mai fatto mistero circa le sue rivendicazioni territoriali su regioni orientali già polacche, ma oggi sotto sovranità ucraina e bielorussa. La messa in discussione dei confini stabiliti tra gli stati europei a seguito della 2a G.M. potrebbe generare pericolose fasi di instabilità e produrre nuove conflittualità in Europa. La stessa Germania, potrebbe infatti rivendicare le regioni orientali sottrattele a favore della Polonia. Potrebbero dunque sorgere infinite conflittualità etnico – regionali che condurrebbero alla balcanizzazione dell’Europa e, sulle ceneri della UE, si imporrebbe una governance della Nato sull’Europa.

Alla Germania è stato impedito dalla fine della 2a G.M. la stipula di un trattato di pace con la Russia, onde legittimare la presenza delle basi della Nato sul suo territorio in funzione di difesa nei confronti dell’URSS.

Se dunque è venuta meno l’efficacia vincolante dei trattati che sancirono la fine della 2a G.M., non si vede perché l’Europa non possa svincolarsi dalla Nato, la cui funzione difensiva nei confronti del blocco sovietico si è esaurita con la fine della Guerra fredda.

Aggiungasi inoltre, che si potrebbero anche rimettere in discussione i trattati di pace imposti ad Italia e Germania dagli USA che peraltro prevedono rilevanti limiti alla sovranità di entrambi i paesi.

Verso una guerra civile mondiale?

Il confronto armato indiretto tra Russia e USA ha assunto anche una connotazione ideologica, quella dello scontro tra democrazie ed autocrazie. Tale paradigma rievoca la teoria di Huntington dello “scontro di civiltà”, quale legittimazione ideologica delle guerre espansionistiche americane contro gli “stati canaglia” degli ultimi decenni.

La identificazione dello schieramento occidentale con il fronte delle democrazie appare però assai equivoca. Sono membri dello schieramento occidentale autocrazie come la Turchia di Erdogan e molte altre dittature e regimi assoluti sparsi in tutto il mondo. La stessa Polonia, oggi paese leader della “nuova Europa”, fu sanzionata dalla UE per inosservanza delle norme europee sullo stato di diritto. Ma tale inadempienza è stata poi sanata per benemerenze atlantiche. L’India invece, la più grande democrazia del mondo, è schierata con i paesi del BRICS.

Occorre inoltre osservare che la liberaldemocrazia occidentale ha subito da decenni una deriva oligarchica e classista. Il modello liberaldemocratico è infatti l’espressione politica del sistema economico neoliberista. Nelle democrazie occidentali la degenerazione oligarchica è evidente: è venuta meno la partecipazione popolare, la contrapposizione politico – ideologica, il welfare, i ceti medi sono in via di estinzione, la proletarizzazione delle masse è un fenomeno in progressiva espansione.

Ma soprattutto, al primato globale dell’Occidente ha fatto riscontro l’esportazione in tutto il mondo di un sistema economico – sociale neoliberista, che ha comportato la diffusione su scala mondiale di un modello culturale ispirato alla post modernità. Pertanto oggi l’occidentalizzazione del mondo si identifica con lo sradicamento delle identità culturali dei popoli, la società di mercato, l’individualismo assoluto, l’ideologia gender, il trans umanesimo, la tecnocrazia della quarta rivoluzione industriale. Il processo di occidentalizzazione globale è così descritto da Michel Onfray nel suo libro “Decadenza”, Ponte delle Grazie 2017: “La barbarie arriva alle nostre porte, equipaggiata come una scintillante e inedita macchina da guerra. Quest’uomo che vuole fare l’angelo farà sicuramente la bestia: dopo il serpente, il cane e la scimmia, l’evoluzione avverrà sotto il segno della medusa, decostruibile e ricostruibile. La decostruzione è iniziata”.

Infatti la post modernità non implica solo la subordinazione politica ed economica all’Occidente, ma comporta l’adesione ad un modello culturale progressista che ha come obiettivo la trasformazione antropologica della natura umana. La stessa erogazione di aiuti economici agli stati in difficoltà da parte del FMI impone come condizionalità il varo di misure legislative volte alla liberalizzazione dell’economia e alla laicizzazione della società.

Il progressismo modernista di matrice liberale ha profondamente inciso sulla struttura del mondo globalizzato. L’eurocentrismo anglosassone si è tramutato in americanismo. Al “fardello dell’uomo bianco”, quale ideologia che legittimava la funzione civilizzatrice del dominio dell’impero britannico, si è sostituita quella dei “diritti umani” di matrice liberal statunitense, che invece vuole giustificare l’espansionismo americano come una missione apportatrice di libertà e democrazia nel mondo. La vocazione imperialista dell’Occidente è rimasta immutata, nel concepire il proprio primato nell’ottica di una colonizzazione politica e culturale di stampo razzista del mondo.

Il paradigma della post modernità ha generato una frattura insanabile all’interno della società occidentale (specie negli USA), che va estendendosi a tutto il mondo. E’ ormai in atto una contrapposizione trasversale interna agli stati che potrebbe potenzialmente provocare una guerra civile mondiale. La struttura oligarchica del sistema neoliberista occidentale implica lo scontro frontale tra elite e popoli, perché coinvolge i valori fondativi della società. Questa potenziale guerra civile mondiale si articola nella contrapposizione tra il primato dei diritti individuali e diritti della comunità, tra laicismo materialista ed etica religiosa, tra cosmopolitismo liberale e identità culturale dei popoli, tra universalismo globalista e sovranità degli stati.

L’emergere di un nuovo ordine multipolare potrebbe essere considerato non la causa, ma solo un effetto anticipatorio di un processo storico incipiente che prelude alle nuove grandi trasformazioni che potrebbero scaturire da questa guerra civile mondiale già istauratasi all’interno della società occidentale. L’espansionismo dell’Occidente non ha condotto all’instaurazione di una società liberale/liberista/libertaria uniformata dalla globalizzazione. L’Occidente ha solo esportato a livello globale la sua deriva nichilista.

La scomparsa della cultura e quindi della civiltà occidentale è del resto certificata dall’emergere della “cancel culture”. Così si esprime Michel Onfray riguardo alla decomposizione della civiltà occidentale: “La cultura occidentale sta cadendo a pezzi a grande velocità. Tanto più che l’odio per la cultura non è opera dei soliti nemici della cultura, barbari, soldati, guerrieri, bruti, ma viene ormai dagli stessi uomini di cultura, accademici, scrittori, sociologi, pensatori, giornalisti, artisti mondani che accendono ogni giorno cento falò intellettuali. Di questo passo, presto non ci saranno altro che le rovine della nostra civiltà”. 

 

 

 

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.