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La Rivolta degli Agricoltori

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La Stampa nazionale spesso punta il dito contro l’Unione Europea, che ha certamente le sue colpe, ma raramente evidenzia l’azione prevaricatrice della distribuzione, della Grande Distribuzione sul mondo agricolo, azione che non è certo da ricondurre a scelte di Brussels e le responsabilità ultradecennali dei vari governi nazionali. L’Italia dovrebbe essere leader del comparto agroalimentare in tutto il percorso di filiera, garantendo gli standard qualitativi che ci caratterizzano. 

L’Italia si sta trasformando da paese di produzione agricola a snodo di trasformazione agroalimentare di prodotti provenienti da nazioni terze. Quindi la nostra agricoltura, le nostre eccellenze in realtà non serviranno più.

La rivolta degli agricoltori sembrava riguardare solo il nord Europa, poi si è estesa velocemente a macchia d’olio a Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria, Lituania e Lettonia, colpite dall’eccedenza di prodotti agricoli dovuta alle importazioni ucraine esenti da dazi, quindi alle altre nazioni dell’Unione. La Germania, dove a innescare la miccia è stato lo stop al «diesel calmierato» per i trattori, Francia, Belgio, dove i contadini valloni chiedono l’adeguamento all’inflazione e la compensazione economica per tutti i vincoli, Spagna, Portogallo, Olanda, dove il malcontento è iniziato già nel 2022, quando il governo Rutte decise un piano di abbattimento dei capi di allevamento del 30% per ridurre le emissioni ed infine, nonostante le assicurazioni di Coldiretti, che affermava l’Italia scevra dalle problematiche che l’avevano ingenerata, ha coinvolto lo stivale, dal settentrione al meridione, isole comprese. Il mondo agricolo ha puntato, in prima istanza, il dito contro gli stati nazionali che a loro volta, come spesso accade scaricano sull’Europa tutte le colpe, ma possiamo sempre e solo incolpare l’Europa o anche i governi inetti ed incapaci dei singoli stati risultano fortemente coinvolti? E’ ormai chiaro che male e cura si identificano nelle stesse istituzioni, in un triste rimpallo di responsabilità, che caratterizza una classe politica a tutti i livelli incapace. Quindi, anche se alcuni aspetti contestati dagli agricoltori parrebbero essere pertinenti con le normative europee, non si può non rilevare quanto, ancor oggi, l’Europa sia poco più un Ente Metafisico e quanto di conseguenza le responsabilità ricadano sostanzialmente sulla classe politica dei singoli stati.

Quali le principali ragioni del contendere? Aldilà di peculiari situazioni di singole realtà, sul banco degli accusati troviamo innanzitutto la Politica Agricola Comune PAC, che da decenni fornisce un sostegno al settore, affrontando non solo gli aspetti economici, ma anche ambientali e sociali. Troviamo poi il Green Deal europeo, cornice programmatica predisposta dall’attuale Commissione con il fine di accompagnare l’Europa in un processo di decarbonizzazione e neutralità climatica entro l’anno 2050. PAC e Green Deal hanno scoperchiato il vaso di Pandora, evidenziando che il reddito equo per i lavoratori in agricoltura risulta inferiore anche del 40% rispetto ad altri settori strategici e la situazione potrebbe ulteriormente peggiorare per l’aumento dei costi relativi all’energia e per il prospettato accordo di libero mercato con il Mercosur, organizzazione internazionale di cui fanno parte Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay, che potrebbe determinare un forte incremento dell’importazione di prodotti agricoli da questi paesi sul mercato europeo. Altro fronte al calor bianco è quello della normativa europea che prevedeva una ulteriore stretta su fitofarmaci e pesticidi, sempre collegata alle scelte relative il Green Deal. In quest’ambito tuttavia i Coltivatori hanno trovato maggiore disponibilità e il ritiro della relativa normativa, provocando una allarmata contestazione da parte dell’Europarlamentare del PD Alessandra Moretti, che paventa un atteggiamento eccessivamente remissivo da parte di Ursula von der Leyen. Inoltre il previsto obbligo di lasciare il 4% del proprio terreno coltivabile incolto è stato rinviato al gennaio 2025. In effetti le dichiarazioni della Moretti evidenziano una spaccatura tra la Sinistra al Parlamento Europeo, che punta ad una rapida attuazione del piano di transizione ecologica e la Destra che vorrebbe frenarlo, mentre i Popolari hanno invece un approccio più soft del problema, allungando i tempi della completa realizzazione e dando una valutazione sostanzialmente negativa alla proposta di legge europea sul “ripristino della natura” considerata invece dalla sinistra un concreto aiuto al settore agricolo. Posizioni simili vengono espresse dall’area ambientalista che, pur evidenziando alcuni aspetti a giustificazione dello stato di crisi del comparto, quali l’aumento dei costi di gasolio, fertilizzanti e pesticidi, a causa della guerra in Ucraina, non compensati da aumenti dei prezzi di vendita per i coltivatori, l’impennata dell’inflazione che ha ridotto il loro potere d’acquisto, ma non quello di intermediari, trasformatori e grande distribuzione, che vedono tuttavia nel cambiamento climatico e nelle dinamiche del mercato, le cause principali della crisi dell’Agricoltura, negando quindi le ragioni della lotta addotte dagli stessi Coltivatori, strumentalizzati, in chiave elettorale, da una Destra onnipresente. Agricoltura e allevamento vengono anzi stigmatizzati quali cause rilevanti delle emissioni di gas serra, mentre l’agricoltura intensiva risulta essere la principale responsabile delle cattive condizioni del suolo e si prevede che senza una rapida applicazione del Green Deal e adeguate misure di tutela ambientale e riconversione agroecologica, sarà sempre più difficile produrre cibo .

In Italia i temi sollevati, oltre quelli a cui si è già accennato, sono stati principalmente riconducibili ad un adeguamento dei prezzi alla produzione, irrilevanti rispetto a quelli al consumo, alla tutela del Made in Italy, all’introduzione di tutte le misure necessarie al contenimento della fauna selvatica, che danneggia le coltivazioni, al contrasto della diffusione sul mercato di cibi sintetici e al rinnovo dell’esenzione dell’IRPEF. Quest’ultima richiesta è stata già accettata. In realtà la situazione reddituale in Italia dell’agricoltura non è comunque rosea. Il reddito medio è di 36.000 euro a fronte degli oltre 61.000 europei. Inoltre, mentre le regioni del Nord si superano comunque i 40.000 euro, nel meridione e nelle isole i redditi risultano ancor più risicati.

Come si è accennato in Italia la protesta si è propagata in ritardo e, contrariamente alle altre nazioni dell’Unione Europea, non è stata organizzata dalle grandi Confederazioni agricole, anzi a lungo Coldiretti ha smorzato i toni, affermando la specificità in positivo dell’agricoltura italica, mentre la CIA manteneva un basso profilo. Ad organizzare la protesta sono sigle di recente costituzione: Riscatto Agricolo, Comitato degli agricoltori traditi, Ancora Italia, Coordinamento Rurale Europeo e altri ancora. La forma è stata spesso quella dell’autoconvocazione ed entrambi gli aspetti rendono il “movimento” molto “liquido” con derive ed obiettivi diversi, evidenziando spesso contraddizioni e contrasti tra le varie componenti, dove l’unico fattore comune sembra a volte essere l’accesa contestazione dell’operato delle organizzazioni storiche di categoria, specie la più forte e rappresentativa, la Coldiretti. Durante le manifestazioni si bruciano le sue bandiere e sembrano messi sul banco degli imputati gli organi di rappresentanza della categoria, che appaiono in affanno ed incapaci a svolgere il loro ruolo. Non partecipano alle azioni di protesta, ma condividono parte delle richieste della “base” e questo le rende ancor più invise alla stessa. Anche l’opinione pubblica appare divisa, mentre la Stampa ipotizza possibili infiltrazioni da parte dell’estrema destra tra i manifestanti o addirittura il controllo diretto e/o indiretto dell’intera protesta da parte di elementi ovviamente “neofascisti” legati a una fantomatica “internazionale nera” che coinvolge Vox in Spagna, gli Spartani in Grecia, quali discendenti diretti di Alba Dorata. l’estrema destra Finlandese e Svedese, il Freiheitliche Partei in Austria, l’AfD in Germania e ovviamente Fratelli d’Italia. Partendo da queste affermazioni sembra facile al Centro Studi Sereno Regis e a Social Europe poter affermare “Le proteste che hanno portato scompiglio nel cuore della democrazia dell’UE presentano inquietanti parallelismi con l’assalto al Campidoglio di Washington DC, avvenuto nel gennaio 2021, da parte dei sostenitori dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, irritati dalla sua disinformazione secondo cui le elezioni che aveva perso contro Joe Biden erano state truccate”.

Certamente le formazioni identitarie, “non conformi”, nazional rivoluzionarie, sono solidali con gli agricoltori e questo a prescindere della loro concreta o meno partecipazione alle manifestazioni. “Agricoltura elemento di identità da difendere” tuona Casapound e aggiunge “Ci troviamo di fronte non a un tentativo di riportare l’agricoltura italiana ed europea a una concezione di produzione non intensiva ma, al contrario, al tentativo di distruggere alla base un settore fondamentale. Investire realmente nell’agricoltura, nella terra, vuol dire salvaguardare il legame che un popolo ha con la propria terra. I produttori agricoli sono uno dei punti di forza della nostra Europa, non possiamo permettere a una banda di burocrati di sacrificarli nel nome di malate logiche di mercato”. Che poi chiosa “le nuove misure UE non fanno che colpire un settore già fortemente provato”… “dietro la scusa di una agricoltura più green, si rischia di andare a penalizzare ulteriormente il comparto agricolo europeo che, in questo momento, deve far fronte a norme sempre più stringenti, che lo rendono sempre meno competitivo e produttivo”.

Inoltre la Stampa nazionale spesso punta il dito contro l’Unione Europea, che ha certamente le sue colpe, ma raramente evidenzia l’azione prevaricatrice della distribuzione, della Grande Distribuzione sul mondo agricolo, azione che non è certo da ricondurre a scelte di Brussels e le responsabilità ultradecennali dei vari governi che si sono succeduti sono chiare e lampanti, come chiaro e lampante è il tentativo di risolvere problemi complessi, anche questa volta, con qualche “pannicello caldo”. Infatti è palese che, nella realtà della filiera agroalimentare, la parte del leone viene fatta dalla Grande Distribuzione organizzata, tra le prime cause della continua contrazione del numero di aziende agricole e della riduzione della superficie agricola utilizzabile. Questa contrazione è frutto di pratiche sleali e vendite sottocosto, pratiche che comportano pressioni, da parte dei distributori, sui vari fornitori della filiera, con conseguenze durissime per gli anelli più deboli, come i piccoli agricoltori. Inoltre nonostante i rincari dei prezzi per i consumatori finali, la Grande distribuzione organizzata tende a tenere i listini fermi, cosa insopportabile per i produttori.  Inoltre va evidenziato che la normativa vigente ha favorito cooperative e organizzazioni di produttori, penalizzando i piccoli agricoltori che le riforniscono, ma anche gli altri agricoltori che offrono i loro prodotti sul mercato in concorrenza con le cooperative. Si tratta di una anomalia esclusivamente italiana: il pensar male una qualche valenza politica potrebbe anche averne. In una sua dichiarazione l’Associazione Rurale Italiana afferma “I prezzi pagati agli agricoltori devono coprire i costi di produzione e garantire un reddito dignitoso. I nostri redditi dipendono dai prezzi agricoli ed è inaccettabile che questi siano soggetti a speculazioni finanziarie”. Come dargli torto? D’altro canto il Presidente della Confederazione Italiana Liberi Agricoltori, organizzazione rappresentativa della categoria a livello nazionale, corpo intermedio attivo e vitale, ricorda che “la riforma della PAC risulta orientata all’ambiente, alla fotosensibilità, ma a danno della produzione, favorendo quindi il trend involutivo del settore” aggiungendo che “è una ben triste realtà che un Coltivatore venga pagato per non produrre. E questo si ripercuote negativamente, anche sull’immagine stessa della Agricoltura e di quanti lavorano nel comparto. Risulta poi ancora più incomprensibile che ci impongano di non produrre in funzione della sostenibilità e del relativo impatto ecologico, per poi importare prodotti agricoli provenienti da paesi con legislazioni ben più permissive sia sull’utilizzo di fitofarmaci, pesticidi o altre sostanze proibite o poste sotto stretto controllo in Italia, sia nelle garanzie per il lavoratore, questo non è altro che <concorrenza sleale>”. Il Presidente Iacopo Becherini esprime poi la sua perplessità sul mantenimento di alcuni Enti ormai inutili ed obsoleti, quali ad esempio i Consorzi di Bonifica e attacca pesantemente la burocrazia, che rende l’agricoltore impossibilitato ad agire autonomamente e obbligato ad affidarsi a strutture esterne alla sua azienda, con conseguenti costi aggiuntivi, quando non cercare tutele in un “sottobosco” non del tutto trasparente. Il Presidente dei Liberi Coltivatori ribadisce che “In Italia la protesta ha aggirato la Coldiretti che considerava la situazione degli Agricoltori ottimale, grazie ai suoi interventi e a quelli del Governo”. La Confederazione Liberi Agricoltori ha avviato iniziative di protesta a partire dalla Basilicata e secondo Iacopo Becherini questo conferma il fallimento delle principali organizzazioni sindacali di categoria, le quali sono diventate delle lobbies di potere autoreferenziali, che guadagnano grazie alla burocrazia inutile esistente in Italia.

Si è richiesto lo Stato di Crisi del Comparto agricolo che permetterebbe un serio intervento da parte del Governo, con possibilità di deroghe al pagamento di alcune imposte e alcuni tributi, di azione diretta sulle varie criticità che da decenni attanagliano il settore senza trovare risposta e soluzione, come le ormai quarantennali multe sulle quote latte, che allora sembravano essere state accettate per salvaguardare la nostra produzione di acciaio, certamente, visto lo stato di dissesto dell’Ilva e la precaria situazione della metallurgia. Qualcosa non pare avere funzionato.

Becherini evidenzia anche che alcune strutture dell’agroindustria italiana sono in mano a Bonifiche Ferraresi, che a sua volta controlla Consorzi Agrari Italiani e Federbio, quindi sono monopolisti della cosiddetta agricoltura biologica, ma nel contempo distribuiscono prodotti OGM, coltivando vasti appezzamenti in Africa, facendo accordi con il Kazakistan, con un processo similare a quello delle delocalizzazioni del Settore industriale. L’Italia si sta trasformando da paese di produzione agricola a snodo di trasformazione agroalimentare di prodotti provenienti da nazioni terze. Quindi la nostra agricoltura, le nostre eccellenze in realtà non serviranno più. Mentre l’Italia dovrebbe essere leader del comparto agroalimentare in tutto il percorso di filiera, garantendo gli standard qualitativi che ci caratterizzano, assenza di pesticidi e non utilizzo di OGM. Infine un altro aspetto è relativo proprio al made in Italy, dove pezzi importanti dell’industria alimentare nazionale sono stati negli ultimi decenni acquisiti da grandi società estere. E quindi, ad esempio, le più conosciute aziende di produzione dell’olio di oliva appartengono ormai ad una multinazionale spagnola, mentre la francese Lactalis controlla buona parte dei marchi italiani nel settore caseario, con quello che da ciò ne deriva. Anche in questo caso possiamo quindi ravvisare le conseguenze della perdita di interi asset strategici a favore di interessi stranieri.

Tutto questo porta ad un costante calo della produzione e ad un’enorme discrasia, già evidenziata, tra la remunerazione del produttore agricolo e i prezzi per il consumatore.

Il Governo Meloni non si è caratterizzato come soluzione di continuità rispetto alle gestioni precedenti e il cambio del nome del ministero in “agricoltura e sovranità alimentare” non ha determinato quel cambio di passo sperato. Anzi si è creato un asse Coldiretti / Ministero che ha rischiato di portare solamente ad una limitazione della precedente pluralità di rappresentanza dei Corpi intermedi del settore senza nessuna effettiva plusvalenza operativa. Nulla si vede all’orizzonte che potrebbe dare ruolo e garanzie all’agricoltura italiana e agli agricoltori, proprio loro che dovrebbero essere innanzitutto considerati per la insostituibile funzione che già svolgono a titolo gratuito. L’agricoltore infatti è il vero e forse unico custode del territorio, dei boschi, dei campi, dei pascoli, dei sentieri delle montagne, degli alvei lacustri e fluviali, a seconda di dove svolge la sua attività, dando una reale plusvalenza alla comunità, alla nazione. Già questo riconoscimento se fosse quantificato economicamente ne incrementerebbe considerevolmente il reddito e, se ne fosse qualificata e riconosciuta l’importanza, ne modificherebbe sostanzialmente lo status.

 

 

 

 

 

 

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