Intervista di Luigi Tedeschi a Giacomo Gabellini, autore del libro “Weltpolitik, la continuità economica e strategica della Germania” Edizioni goWare, 2019
1) La storia della Germania si identifica con quella dell’Europa. Essa si è resa sempre protagonista dei secolari conflitti che si sono succeduti per il dominio del continente europeo. Tuttavia, nell’era moderna, la Germania, pur essendo assurta a potenza economicamente e militarmente dominante, non è stata in grado di costituire un modello politico di riferimento per il continente europeo. Il deficit storico e geopolitico della Germania non consiste nella sua congenita incapacità di creare un modello statuale idoneo ad assimilare altri popoli né di costituire un sistema suscettibile di riprodursi in altri contesti storici e politici? In altre parole, la Germania si è sempre rappresentata come un sistema chiuso in se stesso, incapace di universalizzarsi, al contrario delle altre grandi potenze quali la Francia, l’Inghilterra e poi gli USA, che invece hanno esportato il loro sistema politico ed economico in tutto il mondo?
Uno degli errori che si tende a commettere più comunemente negli ultimi tempi consiste indubbiamente nel parlare molto sbrigativamente di Occidente per riferirsi a una sorta di blocco culturale-geopolitico che riunirebbe America settentrionale ed Europa, quasi si trattasse di un monolite. La Germania, sotto questo aspetto, costituisce senz’altro un’eccezione, perché lo stesso sentimento nazionale tedesco si formò attorno ad un nucleo geografico – la Prussia – dominato da strutture sociali che non avevano seguito le traiettorie di sviluppo caratterizzanti del resto dell’Europa moderna. La spartana devozione dei sudditi nei confronti di Federico il Grande, che aveva trasformato la Prussia, in un poderoso Stato militarizzato gerarchicamente stratificato e basato sui criteri di “comando e obbedienza”, finì infatti per estendersi a gran parte dello spazio germanofono, e a fondersi con i precetti fondamentali della riforma luterana, i tratti fondamentali della religiosità magico-pagana risalente al Medio Evo e infine con gli ideali sdoganati dal romanticismo. Lo spirito tedesco, frutto di questo peculiarissimo amalgama, è così risultato ben presto incompatibile con i principi tipicamente occidentali sui quali si basavano altri grandi Stati europei come la Gran Bretagna, la Francia e anche la neonata Italia. Non a caso, l’irriducibilità della kultur tedesca alla zivilisation occidentale, già messa in rilievo da Kant, fu successivamente riaffermata con vigore anche da personaggi di grande spicco quali Fichte, Schopenauer, Nietzsche, Spengler, Heidegger, Jünger e Mann.
2) La Seconda Guerra Mondiale fu condotta da Hiltler in nome del riscatto tedesco dopo Versailles, la superiorità razziale, il dominio tedesco sull’Eurasia. In funzione, cioè, di un pangermanesimo continentale che non avrebbe mai potuto condurre la Germania ad assurgere a potenza mondiale, dati gli evidenti sintomi di declino dell’eurocentrismo dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. Non era destinata ad una fatale sconfitta una Germania che negli anni ’40 si configurava come una rinnovata riedizione di un impero centrale, di una potenza limitata alla guerra tra Stati per il dominio continentale? La Germania si dovette scontrare con Usa e Urss, potenze mondiali dotate di fondamenti ideologici (capitalismo e comunismo, ideologie improntate al cosmopolitismo universalista), e strumenti strategici di portata globale? La Germania nazionalsocialista non era dunque una entità fuori del tempo, che rappresentava cioè un’epoca ormai esaurita?
Anche in questo caso, la specificità della kultur tedesca ha offerto un contributo determinante. In particolare, non solo nel definire i contorni ideologici del nazionalsocialismo, ma anche nell’impedire alla classe dirigente tedesca la fondamentale differenza che intercorre tra egemonia e dominio. Il Patto Molotov-Von Ribbentrop, ad esempio, avrebbe posto le basi per la creazione di un blocco continentale autonomo in grado di relegare la superpotenza statunitense a un ruolo relativamente secondario, e consentito allo stesso tempo alla Germania di affrancarsi da quel ruolo di Paese “having not”, che a differenza delle nazioni “having” (Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia), non disponeva – né in maniera diretta né tramite i possedimenti coloniali – di tutte le risorse fondamentali allo sviluppo della propria potenza. Con qualche sparuta eccezione, i vertici del potere pubblico tedesco non presero mai in seria considerazione i vantaggi clamorosi che un’intesa come quella con l’Unione Sovietica avrebbe assicurato al loro Paese, ma preferirono portare avanti il loro piano di colonizzazione e “riclassamento razziale” nella convinzione di potersi così guadagnare libero accesso alle ricchezze custodite nei grandi spazi russi. Il sogno era quella di colmare così il divario con le grandi potenze coloniali dell’epoca, ma si trattava di una chimera.
3) La potenza della Germania trova la sua origine nella sua particolare struttura politica che ha saputo implementare una sintesi tra l’economia capitalista, il conflitto sociale e una classe politica che ha avuto la capacità di coinvolgere e coordinare in nome del supremo interesse nazionale le forze emergenti dalla società civile. Tuttavia, l’avvento della globalizzazione ha comportato l’esigenza per la Germania di adeguarsi ad un nuovo ordine mondiale neoliberista. L’economia finanziaria ha avuto il sopravvento sull’economia produttiva, il lavoro precario e la compressione salariale hanno soppiantato la Mitbestimmung e il welfare, il regionalismo esasperato ha eroso la coesione nazionale, determinando scandali finanziari, conflittualità interne e diseguaglianze incolmabili tra i laender. Al dominio tedesco sull’Europa ha corrisposto una trasformazione socio-politica profonda della Germania. È ormai tramontato il modello del capitalismo renano? La globalizzazione ha minato alle radici la stessa identità storico-culturale della Germania?
Con la fine della Guerra Fredda e la riunificazione, la Germania ha importato al proprio interno le tendenze più distruttive del capitalismo anglosassone che stanno palesemente minando alle basi la tenuta del cosiddetto modello renano. Il quale si fondava su un legame strettissimo tra banche e industria, e incaricava gli istituti di credito – i cui dirigenti sedevano molto spesso nei consigli d’amministrazione delle stesse aziende clienti – di dettare modi e ritmi di sviluppo all’apparato produttivo. Di qui l’esistenza di un mercato finanziario di dimensioni storicamente ridotte a cui faceva da contraltare un apparato manifatturiero di primissimo piano. L’investimento produttivo presenta tuttavia la “controindicazione” di garantire un rientro in tempi non brevissimi, cosa che contrasta in maniera frontale con logica del profitto immediato tipica del paradigma anglosassone introiettato dalla Germania a partire dagli anni ’90. Si è così assistito a un “mutamento di pelle” che ha portato il sistema finanziario tedesco a lanciarsi in una serie di operazioni spericolate, con conseguente disarticolazione dei tradizionali equilibri interni grazie ai quali il Paese si era imposto come principale potenza industriale su scala europea. Questo “mutamento di pelle” si evince peraltro dall’analisi di pressoché ogni aspetto della Germania in quanto nazione, e ritengo sia frutto di decenni di occupazione militare e “colonizzazione culturale” da parte degli Stati Uniti, che grazie ai loro formidabili strumenti hanno avuto buon gioco ad alterare sensibilmente l’identità stessa del popolo tedesco.
4) Con la caduta del muro di Berlino non si è realizzata la riunificazione tedesca, ma semmai l’incorporazione della Ddr nella Bdr. In realtà i nuovi equilibri geopolitici scaturiti dalla Guerra Fredda avevano comportato la divisione della Germania in due stati, che rappresentavano i modelli dominanti contrapposti del capitalismo americano e del comunismo sovietico. Ma Ddr e Bdr assunsero nel tempo due identità diverse. Ritengo, che sebbene l’imposizione di due sistemi politici distinti corrispondesse alla logica di Yalta, mentre l’occupazione sovietica, e con essa l’imposizione del socialismo reale rappresentasse una dominazione subita dai tedeschi dell’est, quella americana, e con essa l’avvento del capitalismo, riscosse invece il consenso dei tedeschi dell’ovest. Pertanto, l’identità della nuova Germania riunificata, non fu strutturata sul primato di un americanismo totalizzante e pervasivo che estese i suoi confini a tutto l’est europeo?
Non va mai dimenticato che furono i sovietici a farsi carico dei maggiori sforzi che condussero alla sconfitta del regime nazionalsocialista, e che, a guerra conclusa, si trovarono a dover ricostruire tutte le nazioni dell’Europa orientale che erano state in larga parte distrutte dalla guerra avendo ben pochi mezzi a disposizione per farlo. Gli statunitensi, al contrario, si trovavano in condizioni eccellenti, sia dal punto di vista economico che strategico, e non persero l’occasione per gettare la loro superiorità sul piatto della bilancia rovesciando la politica improntata all’inflessibilità nei confronti della Germania che era stata elaborata quando il conflitto era ormai agli sgoccioli. La “conquista” del consenso dei tedeschi si realizzò mediante la marginalizzazione del cosiddetto Piano Morgenthau, implicante la “pastoralizzazione” della Germania, e l’integrazione della Bundesrepublik nell’architettura di difesa euro-atlantica, il cui corollario fu – specialmente in seguito allo scoppio della Guerra di Corea – l’agganciamento dell’industria pesante tedesca nella catena produttiva facente capo al complesso militar-industriale Usa. Il rilancio industriale della Bdr si verificò quindi sotto l’ala protettiva degli Stati Uniti, ma si dispiegò di pari passo con una sorta di “contaminazione” culturale che, come giustamente osservi, ha finito per stravolgere l’identità stessa della Germania.
5) La Germania dall’epoca della ricostruzione postbellica alla creazione dell’Unione Europea ha riaffermato la propria supremazia incontrastata sull’Europa. Comunque, la Germania, con la sua Weltpolitik ha potuto assurgere al rango di una potenza economica politicamente dimezzata, in quanto paese a sovranità limitata, cioè sottoposta ai vincoli geopolitici degli Usa e della Nato. All’estensione ad est dell’Unione Europea, ha fatto seguito di pari passo quella della Nato. Dinanzi ai mutati equilibri geopolitici degli ultimi anni, con l’emergere di nuove potenze quali la Russia e la Cina e il progressivo disimpegno americano nel mondo, la Germania, così come l’Europa, si presenta impreparata ad assumere un ruolo autonomo nel contesto del nuovo multilateralismo globale. L’Europa, già in crisi demografica e socio-economica, appare chiusa nella sua rigidità economico-finanziaria e in grave ritardo circa l’innovazione tecnologica. Il dominio della Germania nell’Unione Europea, non potrà condurre, come esito ultimo, alla marginalizzazione dell’Europa e alla sua progressiva estromissione dal nuovo contesto geopolitico mondiale?
Senza dubbio. La Germania, con la sua ortodossia economica, il suo percepire il commercio come una sorta di gioco a somma zero in cui essa vince e tutti gli altri devono necessariamente perdere e la sua incapacità di ricavarsi sull’Europa un’egemonia che non si riduca al mero e brutale predominio sta condannando ogni giorno di più il “vecchio continente” all’irrilevanza. L’incredibile miopia politica di cui la classe dirigenziale tedesca dà quotidianamente sfoggio è fondamentalmente corresponsabile dell’arretramento geopolitico europeo, perché incapace di elaborare una visione strategica che coniughi sviluppo economico e affermazione geopolitica intesa su scala continentale. La Germania, in altre parole, è persuasa di poter continuare tranquillamente a tessere le proprie trame commerciali senza farsi carico delle responsabilità che un Paese dotato di una simile stazza è inevitabilmente chiamato ad assumersi. Sotto questo aspetto, Trump ha avuto l’indubbia funzione di aprire gli occhi alla dirigenza tedesca, che dinnanzi alle dure prese di posizione statunitensi e al crollo del proprio export determinato in buona parte dalla guerra commerciale dichiarata da Washington ha assunto una serie di iniziative tanto goffe quanto incoerenti e contraddittorie. Non a caso, la firma del Patto di Acquisgrana, il rilancio del progetto relativo alla creazione di un esercito comune europeo e il sorgere di un dibattito interno circa la possibilità di dotarsi dell’arma atomica sono stati portati avanti mettere mai realmente in discussione la preservazione della Nato, così come all’accordo con la Russia per il raddoppio del gasdotto Nord Stream non è coincisa una presa di distanza dalla linea sanzionatoria nei confronti di Mosca imposta dagli Usa. Tutto ciò dà la misura del disordine mentale che caratterizza l’attuale apparato dirigenziale tedesco, che continuando di questo passo trascinerà giocoforza l’intera “vecchia Europa” in un declino sempre più difficile da arrestare.