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RADIO RADICALE, è battaglia pubblica di civiltà

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La volontà grillina di strangolare finanziariamente la storica emittente di servizio pubblico accompagnata da un giornalismo collaborazionista e miope impongono una doverosa riflessione su un inquietante disegno ben più articolato e pericoloso di censura democratica e deriva privatistica

Abbiamo già espresso su queste colonne la nostra avversione per la decisione dell’esecutivo Lega-M5S di tagliare progressivamente il contributo pubblico all’editoria e all’informazione nel triennio 2019-2021. Un taglio di risorse che segnerà per centinaia di testate locali e “di opinione” una condanna a morte differita, ma certa. Immediata, invece, sarà la soppressione di Radio radicale che, se non fatta oggetto di un tempestivo provvedimento parlamentare “ad hoc” che finanzi con cinque milioni le attività radiofoniche del secondo semestre, chiuderà i battenti il prossimo 21 maggio, data infausta, resa beffarda dalla vicinanza con le elezioni europee della successiva domenica.

Premettiamo di non aver mai votato radicale, né di essere iscritti al partito che fu di Pannella e di essere dal 20 settembre 2016 attenti e costanti lettori de “La Verità”. Ciò nonostante non possiamo non stigmatizzare un offensivo articolo sul finanziamento pubblico a Radio radicale apparso lo scorso 19 aprile (giorno di Santa Emma) sul medesimo quotidiano che, oltre a fiancheggiare una sconcertante scelta liberticida del governo, pecca, a nostro avviso, di vistose imprecisioni e sospetto pressappochismo. A partire dal titolo: “I radicali fanno i liberisti su tutto tranne che sui fondi alla loro radio” e dalla chiusa: “Sono buoni tutti a fare i liberisti con gli altri e gli statalisti con sé stessi. Non le pare, senatrice Bonino?”.

Innanzi tutto la lacunosa analisi nella quale si esprime condivisione per i tagli all’editoria decisi dal governo a guida M5S trascura il fatto che, oltre a detenere un archivio di inestimabile valore storico, politico e culturale (elemento rilevantissimo, ma taciuto dall’autore), Radio radicale, in virtù della convenzione stipulata con il Ministero dello Sviluppo economico, non possa beneficiare di introiti pubblicitari i quali, se percepiti, snaturerebbero il suo contenuto e la sua ragion d’essere di servizio pubblico e – aggiungiamo – essenziale.

L’articolo non considera, inoltre, che qualsiasi altro operatore radiofonico, con un budget di dieci milioni annui, non sarebbe in grado di conseguire e mantenere livelli quantitativi e qualitativi pari a quelli raggiunti grazie alle alte professionalità e collaborazioni presenti in Radio radicale, dove evidentemente intervengono anche elementi immateriali ed identitari di condivisione ed appartenenza, estranei dunque ai soli criteri economici. I riferimenti alle gare pubbliche, al libero mercato, alla concorrenza e a von Hayek avrebbero potuto essere, quindi, intelligentemente omessi, considerando anche che da anni è la stessa radio che invoca l’indizione di una gara pubblica alla quale partecipare in qualità di concorrente per la fornitura del servizio.

L’articolo, ancora, e ci riferiamo al citato finale, evidenzia un’ignoranza di fondo, più grave se palesata in uno scritto con velleità politiche: non essere a conoscenza (o fingere, il che sarebbe ancor più imperdonabile per la credibilità delle tesi sostenute) che Radio radicale nulla ha a che vedere con +Europa, cioè con Radicali Italiani e la sua leader, Emma Bonino, essendo organo della Lista Marco Pannella, non propriamente la stessa cosa, considerando le acerrime dispute giudiziarie. Altro che l’einaudiano “conoscere per deliberare”! Si informi il solitamente bravo autore del pezzo ed eviti, in aggiunta, di scegliere a corredo dello scritto una foto datata di Emma Bonino sorridente con le cuffie nello studio radiofonico che, nel 2019, veicola un messaggio errato e giornalisticamente mistificatorio.

Infine, l’operazione sottesa all’articolo di creare surrettiziamente – sia detto in estrema sintesi – una liaison tra lo spirito del compianto Massimo Bordin (che di quella radio è stato, oltre che per vent’anni direttore, l’indimenticabile “voce” e l’anima) e la augurata “generosità” – via Bonino – di George Soros, quale finanziatore alternativo dell’emittente, appare inqualificabile e da respingere con sdegno.

Dubitiamo, pertanto, che l’autore dell’articolo ed alcuni suoi compagni di iconoclastia editoriale, come il ministro Di Maio o il “gerarca minore” Crimi (copyright di Bordin), la sera del 25 aprile abbiano avvertito la curiosità e scoperto poi il piacere di ascoltare su Radio radicale, in rapida successione, l’accattivante presentazione-intervista del libro dei prof. Mauro Canali e Clemente Volpini “Mussolini e i ladri di regime” (Mondadori, 2019); e a seguire l’interessante relazione del prof. Giuseppe Parlato (presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice), datata gennaio 2019, svolta nel corso di un convegno organizzato dall’Istituto italiano di Studi germanici ed intitolato “Le istituzioni e la politica culturale del fascismo”.

Siamo certi, di contro, che se quanti si stanno adoperando con zelo servile nelle istituzioni o nei media, favorendo un torbido clima oscurantista, per chiudere una voce pubblica di informazione libera al servizio della collettività si fossero sintonizzati su quelle frequenze avrebbero potuto usufruire di illuminanti lezioni di primari esponenti della ricerca storica contemporanea, i quali, pur con differenti sensibilità politico-culturali, pongono la consultazione diretta di nuove fonti archivistiche e documentarie a fondamento della propria attività scientifica ed il rigore espositivo, unito ad un’efficace azione divulgativa, al servizio del lettore/ascoltatore, soprattutto di quello meno competente. Ciò nel pieno rispetto dell’essenza degli studi storici: la revisione delle conoscenze e la continua messa in discussione delle verità acquisite.

Radio radicale – comunque la si pensi – è stata e rimarrà una insostituibile fonte non filtrata di informazione che ha garantito ad ogni cittadino, per oltre quarant’anni, l’esercizio del diritto alla conoscenza. Un principio non contemplato esplicitamente nemmeno in Costituzione.

Non deve, allora, stupire se la radio ed il suo prezioso archivio che si arricchisce quotidianamente di sedimentazioni di cronache politiche e giudiziarie destinate, con l’azione del Tempo, a scivolare nella storia (e quindi a stimolare ulteriori studi, ricerche e riletture del passato) siano oggetto di scempio da parte di coscienti criminali della memoria e dei loro complici. Intollerabili per costoro si sono rivelate le dirette dei lavori parlamentari, dove l’impreparazione e l’imbarazzante livello estetico e lessicale soprattutto di molti Cinque Stelle, affiorati e trasmessi senza filtri, hanno contribuito a falcidiare il relativo consenso elettorale.

L’oltraggio ad un patrimonio pubblico della nazione – perché di questo si tratta – non è solo esercizio becero del potere, non può essere ridotto ad espressione esteriore di bullismo maggioritario misto ad ignoranza. Temiamo che il violentissimo attacco ad un’emittente radiofonica alla quale si vuole procurare la morte per asfissia finanziaria altro non sia se non una tessera – pur mediaticamente rilevante – di uno squallido mosaico ben più vasto e dai contorni allarmanti.

L’azione politica del M5S e del suo dante causa, ad iniziare dalle modalità di selezione della classe dirigente, è informata alla marginalizzazione di competenze e qualità personali, ridotte a dettagli trascurabili. Un venditore di bibite nelle domeniche calcistiche senza significative esperienze di lavoro che diventa capo politico del primo partito nazionale, pluriministro e vicepremier non è la personificazione vincente del sogno americano; è semmai la trasposizione visibile di un inquietante messaggio comunicativo: il superamento della centralità dell’elemento umano in politica e la sua sostituzione con algoritmi informatici. È l’assurgere della distorta logica dell’“uno vale uno” a dottrina politica. È la promozione dell’incompetenza a requisito indispensabile.

I tempi di annientamento dei sani anticorpi sociali potrebbero non essere brevi: ma il disegno eversivo della Casaleggio Associati, perseguito tramite le api operaie pentastellate presenti in parlamento o a Palazzo Chigi, prevede strategie di realizzazione ed orizzonti temporali di medio-lunga durata. Tracce di una politica intesa da Socrate come arte regale o da Platone intimamente congiunta alla filosofia visibili nelle istituzioni ancora qualche decennio fa vengono progressivamente espunte con un’azione di costante delegittimazione della funzione politica e dei contrappesi istituzionali.

Il superamento, vaneggiato da Casaleggio, della democrazia parlamentare a favore della democrazia diretta (leggasi plebiscitaria e totalitaria) di matrice rousseauiana passa attraverso una scientifica disintermediazione politica da realizzare marginalizzando, annichilendo o colpevolizzando i corpi intermedi dello Stato, le rappresentanze delle forze sociali, la stampa, la magistratura, lo stesso parlamento e, in ultimo, le province. La demagogica retorica dei costi della politica (stipendi, pensioni e persino numero dei parlamentari da tagliare), nonché il ricorso distorto al referendum propositivo sono da iscriversi in questo sovversivo filone di pensiero.

L’attacco alla libertà di stampa attraverso la chiusura pianificata di centinaia di testate minori e lo sconcertante accanimento nel radere al suolo un’eccellenza italiana dell’informazione e della comunicazione quale è Radio radicale non può allora che essere letta ed inquadrata come un passaggio obbligato di una marcia di avvicinamento verso una deriva privatistica della società. Un mondo non più politico, con lo Stato ridotto ad azienda economica. Dove la partecipazione sarà da intendersi partecipazione agli utili. Dove le maggioranze deliberanti risiederanno in un condominio. Dove le urne saranno quelle cinerarie della coscienza critica.

Sempre a proposito: come si può invocare il mercato e le sue leggi per giustificare la retorica del risparmio di risorse pubbliche, negando una cifra poco più che simbolica per la sopravvivenza di Radio radicale, e contestualmente foraggiare con 300 euro tratti dallo stipendio di ogni parlamentare M5S (circa 100 mila euro mensili!) – sborsati dunque dai contribuenti italiani – una società privata che gestisce un software, peraltro sanzionato dal Garante della Privacy relativamente ai profili di riservatezza del voto e vulnerabilità di sistema, che vorrebbe sostituire l’impianto politico-costituzionale della Repubblica?

La prevedibile fine di Radio radicale – lo diciamo a tre settimane dal fatidico 21 maggio – è dunque solo la punta dell’iceberg di una complessa visione del mondo dove l’alienazione rousseauiana della volontà collettiva a vantaggio di un consiglio di amministrazione rischia di mutarsi in tragica realtà.

A noi, sani anticorpi sociali ai quali abbiamo fatto cenno, allergici a Rousseau (nella duplice detestabile accezione), il compito di contribuire ad impedire la realizzazione di un simile progetto. A partire dall’espressione di voto alle prossime elezioni europee, dove potremo giudicare con un tratto di penna chi vuole uccidere la libertà con la democrazia. Con la libertà di stampa e la tutela della memoria, di tutta la memoria, non si scherza.

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