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Embraco: una Italia usa e getta per le multinazionali

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Caso Embraco: il dominio delle multinazionali in una Italia ed una Europa create ad immagine e somiglianza del capitale

 

Calenda è diventato improvvisamente populista? E’ assai sorprendente che un convinto ed ortodosso esponente del liberismo e del globalismo, uomo vicino a Mario Monti, gridi allo scandalo ed apostrofi come “gentaccia” i rappresentanti della multinazionale Embraco. Infatti la Embraco ha dismesso i suoi impianti in Italia per trasferirli in Slovacchia, paese che offre margini di profitto assai più elevati dell’Italia, con rilevanti abbattimenti del costo del lavoro, dell’energia e fiscalità ridotta.

Eppure Renzi, unitamente al governo attuale, di cui Calenda è uno dei massimi esponenti, in sede di campagna elettorale, non hanno fatto che annoverare tra i loro più rilevanti successi il ritorno alla crescita, l’incremento dell’occupazione e degli investimenti. Oltre a dichiarare la loro fede incrollabile nell’Europa, in questa crociata elettorale contro gli infedeli del populismo.

E’ da rilevare quindi l’estrema incoerenza e addirittura l’insensatezza delle posizioni di un Calenda che ha ingiunto alla Embraco di ritirare i licenziamenti, altrimenti avrebbe dovuto far fronte ad una “dichiarazione di guerra del governo italiano”.

 

Le multinazionali e la sciagurata scelta europeista italiana

 

Dal trattato di Maastricht in poi, l’Italia ha supinamente accettato tutte le regole imposte dalla UE in materia di liberalizzazione dell’economia, di libera concorrenza e di libera circolazione degli individui e dei capitali in Europa. Si sono abbattute le barriere commerciali e legislative, millantando le straordinarie prospettive di sviluppo che avrebbe offerto un libero mercato di 500 milioni di consumatori, con relative e progressive cessioni di sovranità degli stati alla UE, con conseguenti restrizioni dei diritti sociali dei cittadini e depauperamento economico dilagante dei popoli. Afferma a tal riguardo in un recente intervista Giulietto Chiesa: “I governi italiani che si sono succeduti hanno ceduto alle logiche dei mercati finanziari ed internazionali che hanno posto i lavoratori italiani in competizione con quelli del resto del mondo lasciandoli senza alcuna tutela. La logica dei mercati è quella di abbassare il costo del lavoro e di precarizzarlo e in Italia abbiamo fatto di tutto per affermare questo folle principio, fino a violare palesemente la Costituzione italiana. Questa infatti recita che compito dello Stato è creare lavoro e rimuovere le disuguaglianze sociali fra cittadini. Abbiamo invece avuto dei governi che in vent’anni non hanno fatto altro che stracciare la Costituzione per soddisfare le richieste dei mercati e trasformando l’Italia in una società per azioni. E’ evidente che in uno scenario del genere i lavoratori hanno perso le armi a propria difesa e oggi si ritrovano in balia di burocrati che accettano le regole del mercato invece che quelle della società civile”.

Si è instaurato un sistema ideologico – economico neoliberista e la concorrenza selvaggia all’interno dell’Europa ha prodotto in Italia un accentuato processo di deindustrializzazione, che ha comportato la perdita del 25% della capacità produttiva italiana. Infatti l’Italia è diventata terra di conquista per le multinazionali, con acquisizioni di rilevanti quote dell’apparato industriale.

Inoltre, tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi 20 anni, hanno perseguito politiche di incentivazione agli investimenti stranieri. Anzi, tutti i governi, a prescindere dalla loro collocazione, a destra o a sinistra, hanno spesso denunciato l’inefficienza della pubblica amministrazione, le carenze del sistema giudiziario e l’elefantiasi burocratica, quali fattori di disincentivo agli investimenti di capitali esteri in Italia. Un paese le cui potenzialità di sviluppo sono frustrate da risorse produttive inutilizzate, in cui le risorse umane sono sempre più costrette alla emigrazione, ha necessità di investimenti esteri? L’esigenza di investimenti stranieri è propria delle economie di paesi sottosviluppati. E’ evidente in tale contesto l’inclinazione alla subalternità neocoloniale della nostra classe dirigente.

In realtà l’Italia ha attratto le multinazionali con finanziamenti pubblici, riforme del lavoro che limitassero le tutele sindacali e favorissero la precarietà. Ma è poi divenuta il paese usa e getta delle multinazionali stesse.

 

Le multinazionali e una Europa creata immagine e somiglianza del capitale

 

La vicenda della Embraco è paradigmatica del modello di sviluppo capitalista instauratosi in Europa.

La Embraco è una società brasiliana controllata dalla americana Whirpool. Gli stabilimenti di Riva di Chieri furono costruiti negli ani ’70 dalla Fiat Aspera per la fabbricazione di frigoriferi. Tali stabilimenti furono ceduti alla Whirpool nel 1985. Gli occupati erano 2.500. Nel 2000 la fabbrica fu ceduta alla controllata brasiliana Embraco. Nel 2004 la Whirpool aprì uno stabilimento in Slovacchia denunciando 812 esuberi. La regione Piemonte, il governo e il Comune di Torino stanziarono oltre 13 milioni per l’acquisto di parte degli stabilimenti, ma oltre 400 lavoratori furono licenziati. Nel 2014 si verificò una nuova crisi e la Embraco minacciò la chiusura degli stabilimenti. La regione erogò 2 milioni per la ripresa produttiva e la Embraco si impegnò ad effettuare nuovi investimenti, ma i dipendenti diminuirono a 500 unità. All’inizio del 2018 la Embraco ha delocalizzato la produzione in Slovacchia e licenziato in massa gli addetti.

Per scongiurare i licenziamenti il governo italiano ha proposto alla Embraco di ritirare i licenziamenti, onde poter elaborare piani di ristrutturazione industriale e per poter fare ricorso alla cassa integrazione. Ma la Embraco è stata irremovibile nella sua decisione adducendo che una ulteriore permanenza della impresa in Italia avrebbe penalizzato il suo titolo in borsa.

Occorre tuttavia rilevare che le riforme del lavoro renziane hanno comportato la rimodulazione degli ammortizzatori sociali. La vigente normativa infatti, non prevede in caso di licenziamento la cassa integrazione straordinaria per cessata attività e i 3 anni di mobilità, ma solo l’indennità di disoccupazione. Gli effetti devastanti delle normative renziane riformate e normalizzate al neoliberismo europeista sono evidenti.

L’Italia finanzia con i propri contributi i fondi strutturali europei. Tali fondi vengono poi erogati ai paesi meno sviluppati dell’est europeo. Questi ultimi a loro volta impiegano i fondi europei per incentivare, attraverso una assai ridotta imposizione fiscale la delocalizzazione produttiva da altri paesi membri. La Slovacchia ha infatti usufruito di finanziamenti della UE per 20 miliardi, da impiegare nello sviluppo della propria economia. E’ però evidente come il governo slovacco abbia impiegato i finanziamenti europei per mantenere una tassazione assai ridotta sul lavoro, al fine di attirare gli investimenti produttivi dall’estero. Il governo italiano ha preteso dall’Europa verifiche sul rispetto delle normative europee che vietano gli aiuti di stato da parte della Slovacchia. Non esistono tuttavia norme europee che limitino la delocalizzazione interna alla UE.

E questo è proprio il caso della Slovacchia, che attua una forma di concorrenza sleale con aiuti di stato finanziati dalla UE. La competizione sfrenata e la concorrenza selvaggia sono fattori sistemici della integrazione europea.

Il dumping fiscale è praticato soprattutto dall’Irlanda, che applica aliquote fiscali compiacenti (12,5%), per le imprese delocalizzate. Sono inoltre noti i paradisi fiscali europei rappresentati da Lussemburgo, Olanda e altri, che hanno attirato i capitali delle multinazionali. E’ evidente che la Slovacchia, come altri paesi dell’est conducono una politica di concorrenza sleale verso i paesi più evoluti della UE. Ma è altresì vero che a trarre vantaggio dal dumping fiscale e sociale sono le multinazionali dell’occidente industrializzato che possono accrescere la loro competitività e quindi i loro profitti attraverso la compressione salariale e la ridotta tassazione.

Occorre inoltre rilevare che i paesi dell’est europeo non fanno parte dell’Eurozona né hanno alcuna intensione di aderirvi. Possono pertanto usufruire dei vantaggi del dumping monetario dovuto alla svalutazione del cambio e favorire la delocalizzazione industriale dall’ovest. E’ assai diffusa nei paesi più ricchi la pratica del “distacco transnazionale”, che consiste nel trasferimento di lavoratori dell’est europeo in Occidente per impiegarli alle condizioni salariali dei paesi d’origine. Il primato della Germania in Europa è stato reso possibile dalla sua espansione produttiva nei paesi dell’est.

Le delocalizzazioni industriali nei paesi dell’est, il basso costo dell’energia (con il massiccio utilizzo del carbone), il dumping monetario, fiscale e salariale praticati in tali paesi, sono tra i fattori principali che hanno prodotto disoccupazione, precarietà, compressione retributiva e diseguaglianza nei paesi europei più avanzati. La costruzione della UE è stata improntata al neoliberismo economico e finanziario: il capitalismo ha creato una Europa a sua immagine e somiglianza.

 

Europa: una società strutturata sull’impresa e il capitale

 

La chiusura di Embraco è un evento esplicativo di una politica industriale perseguita dai governi di questa legislatura. Altre crisi irrisolte sono state oscurate dai media in tempi di campagna elettorale. Possiamo menzionare crisi dall’esito incerto ed oscuro per l’occupazione, quali quelle dell’Ilva di Taranto e quella di Alitalia, in cui i potenziali acquirenti denunciano costantemente migliaia di esuberi di personale. Alla fine del 2017 si sono verificate vertenze assai apre ad Amazon e Ryanair, in cui tali multinazionali, oltre a violare apertamente le normative italiane sul lavoro, hanno rifiutato ogni trattativa con i sindacati.

Mentre il governo uscente millanta le sue prodigiose politiche economiche e le riforme del lavoro, si profila un futuro assai oscuro per l’occupazione in Italia. La ristrutturazione del sistema bancario preannuncia drastici tagli occupazionali.

Il bluff del milione di posti di lavoro creati dal Job Act apparirà in tutta la sua evidenza: nel 2018 scadrà il triennio per gli assunti a tempo indeterminato nel 2015 con il beneficio della totale decontribuzione per le aziende. Venuto meno il vantaggio economico della esenzione contributiva, le imprese procederanno al licenziamento dei lavoratori non più tutelati dall’articolo 18.

La stessa Europa è destinata a subire il dumping fiscale americano. Le drastiche misure di tagli fiscali a favore delle imprese approvate da Trump, potrebbero comportare il trasferimento dall’Europa agli USA dei colossi dell’informatica, già agevolati in Europa da una fiscalità compiacente.
In realtà l’estrema mobilità della produzione industriale, così come quella dei capitali è diretta conseguenza della trasformazione della struttura della società modellata su quella dell’impresa. Si è dato luogo ad una concorrenza selvaggia tra gli stati, nell’offrire alle multinazionali vantaggi fiscali, finanziamenti pubblici, normative tese a comprimere i salari e i diritti dei lavoratori. I costi sociali in termini di impoverimento delle masse e diffusione di accentuate diseguaglianze sono devastanti.

I timori per l’incertezza del futuro sono destinati ad essere esorcizzati da un avvenire già divenuto presente. Tra una settimana il popolo italiano sarà chiamato al voto per le elezioni politiche. Ma la tragica realtà di questo presente storico non può essere oggetto di opinioni. La realtà politica e sociale di questo paese non è tale in quanto votata dalla maggioranza degli elettori. Non è soggetta al voto una realtà oggettivamente verificabile. Questa realtà italiana esige una presa di coscienza collettiva al fine di trasformarla.

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