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MAX WEBER E IL CAPITALISMO COME DIVINITÀ

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Max Weber vide d’un tratto, e bene a fondo, nel cuore del secolo XX. Il secolo del trionfo finale del capitalismo finanziario su tutti i suoi antagonisti e in tutto il mondo.

Una delle tante sciagure che affliggono la modernità è la sua desacralizzazione, la caduta in un magma da cui fuoriesce ogni sorta di impostore. Il delirio liberale sui “diritti” rivendicati da tutti e su tutto, è solo un sintomo. Da qui discende anche la generale de-politicizzazione, lo sfaldamento, cioè, del significato di “fare politica”, sostituito dalla pratica liberale-liberista di condurre una semplice amministrazione ispirata dal destino progressista, una burocrazia santificata, al solo scopo di perseguire obiettivi economici di resa utilitarista, del tutto scollati da qualsivoglia interesse comunitario.

La cura degli affari pubblici, cioè la politica, assolve al proprio scopo quando è il frutto di un principio, di un progetto, ciò che viene affidato a chi non viva di politica, ma per la politica, e che sia in qualche modo un professionista; in quanto tale, il soggetto che fa politica “per vocazione”, che unifica i due concetti di professione e vocazione – ciò che la lingua tedesca rende col vocabolo Beruf – si pone un gradino più in alto del mestierante e del dilettante. Egli, a maggior ragione quando fosse investito anche dal necessario carisma, rappresenta al più alto grado l’individuo pubblico che conosce la via della decisione, e se ne assume la piena responsabilità. Ciò che ha sempre preoccupato gli analisti politici nell’Europa degli ultimi secoli è l’avanzata del funzionario, l’uomo senza vocazione, che è altra e opposta cosa rispetto al politico per missione e professione, che riconosce e vive la responsabilità come dovere. Questo produsse la generosità di una giusta morale comunitaria, ma al tempo stesso sboccò, nel mondo occidentale, nel fanatismo etico di minoranze religiose arrivate al potere, da cui discese la convinzione di dover operare per il bene a tutti i costi, anche producendo il male. Il puritanesimo, con le sue derivazioni pietiste, fu quello che attuò la spietata doppia morale della “praxispietatis”, lo strumento interventista attraverso il quale la Chiesa invisibile si sarebbe appalesata nel mondo: il fanatismo dei Padri pellegrini seicenteschi, sbarcati nel Nuovo Mondo con tutto il carico delle loro psicopatologie, è ancora oggi il motore dell’espansionismo politico-finanziario statunitense.

Entro un recinto di significati fondamentali, di cui – nella storia del pensiero politico – fu perno l’opera di Max Weber, si dovrebbe svolgere il compito della politica, da quando questa funzione è stata abbinata al bene generale come fine ultimo della res publica. Il vero fondatore della moderna politologia fu un uomo del suo tempo, ma anche un uomo contro il suo tempo.

Max Weber fu a lungo iscritto alla Lega Pangermanica di Ludwig Class, una delle associazioni politiche di punta del nazionalismo radicale in epoca guglielmina, fortemente marcato in senso imperialista ed etnicista. Questo per dire che è difficile che si possa avere una concezione differenzialista della socio-politica, che non debba comprendere quote più o meno grandi di pensiero nazionale, di relativismo culturale, ed anche di franco ed onesto etnicismo. Se non fosse che l’Occidente ha posto al bando interi comparti del pensiero sociale e politico appartenenti alla tradizione europea, passando a condannare come criminali intendimenti, pratiche e ideali che ebbero corso presso i nostri popoli per svariati millenni, se non fosse per questa amputazione di una parte sostanziale della politologia in omaggio al pensiero unico stabilito al di fuori dell’Europa, e anzi contro di essa, il discorso sarebbe semplice, come semplici ed evidenti sono i significati, gli obiettivi, i contenuti. Max Weber espose il suo pensiero qualche decennio prima che il funesto predominio del liberalismo democratico tracimasse dal mondo anglosassone sull’Europa, e di lì sull’intero mondo, portandosi dietro il corteo delle sue degenerazioni. Weber poté quindi disporre di tutta una serie di concetti a quel tempo ancora cardinali e rivestiti di intatto prestigio, al fine di disegnare i contorni della società e dei suoi mutamenti. Fornendo alla modernità, in tal modo, gli strumenti per comprendere quanto e fino a dove fosse possibile spingersi lungo la strada del cambiamento, senza con ciò pregiudicare la base stessa della convivenza, quale sino ad allora era stata concepita dalle varie culture europee.

Weber, morto nel 1920, non ebbe modo di conoscere né gli sviluppi del comunismo né tantomeno di osservare il suo finale confluire nella liberaldemocrazia, la quale ha finito col veicolare la sostanza intima del marxismo-leninismo, che, al di là degli slogan operaisti, era strutturata come un qualunque liberalismo: ideologia del mutamento permanente, utopismo cosmopolita, dittatura mondiale del potere economico. Questo trionfo del capitalismo paludato di panni progressisti è il culmine della modernità, tutta pervasa dalla monotematica idea-forza, che tutto condiziona: il capitalismo internazionale e la speculazione finanziaria. Ma Weber poté, nondimeno, fissare alcuni punti fermi di contrapposizione a quell’insieme di fenomeni ai suoi tempi ancora in embrione, ma già da lui lucidamente individuati, e che furono all’origine degli attuali processi di scatenamento della tecnica sotto guida usurocratica.

Cardine dell’analisi weberiana fu il notissimo concetto che alla base del capitalismo agisce una fede religiosa. Lo “spirito del capitalismo” è una specie di chiamata, un privilegio assurdamente, ma fortemente legato alla virtù religiosa. Questo grumo di spirituale e di materiale è ciò che sta all’origine della moderna concezione dell’accumulo finanziario, fornendo alla materia economica quell’aura di intoccabilità e necessarietà fatale di cui abbisognava, al fine di presentarsi come momento essenziale nei rapporti umani. Il risparmio come ascesi, ad esempio, antica virtù della borghesia europea, piccola e grande, è uno degli aspetti psicologici più attinenti alla concezione capitalistica. Fondata che fosse sull’investimento industriale, oppure su quello piccolo-azionario, non ha importanza. La grande come la piccola borghesia mondiale rappresenta in pieno a tutt’oggi esattamente lo schema tratteggiato cent’anni fa da Weber, circa la capacità di operare la saldatura fra “buone opere” e accumulazione capitalistica.

Weber precisò in proposito che “l’ascesi cristiana ha prodotto nell’uomo la predisposizione e le attitudini necessarie perché egli potesse facilmente ‘adattarsi’ alla razionalità capitalistica. Il cristianesimo calvinista ha trasformato infine gli uomini in strumenti di produzione”.

Andando a scavare dalle parti del settarismo riformatore cinque-seicentesco, Weber trovò la prova che cercava per spiegare l’elefantiasi del capitalismo moderno e, soprattutto, la sua centralità come elemento portante dei mutamenti sociali e degli spostamenti di ricchezza.

Il calvinismo e i suoi derivati settari, di tipo quacchero-anabattista, con la loro morale dell’elezione dell’uomo attraverso il successo mondano elargito come premio divino, sono secondo Weber la spiegazione dell’abnorme protagonismo degli aspetti economico-finanziari nel mondo moderno. Dato che, certo non per caso, le società politiche che più di altre dominano i valori economici e che ne hanno trasmesso le logiche all’intero mondo, sono per l’appunto a sfondo etico protestante-calvinista. Stati Uniti e Gran Bretagna, in questo senso, stati per nulla laici, ma pervasi dalla cultura dell’elezione divina e dell’eccellenza religiosa, riflettono nei loro ordinamenti politici il peso condizionante di questa etica di provenienza biblica, riformata, settaria. Il fatto che lo spirito del capitalismo, che ha deciso gli avvenimenti mondiali degli ultimi secoli, provenga dall’etica protestante, secondo la formula weberiana, non appare come un’interpretazione, ma piuttosto come una constatazione. Sarebbe facile, in proposito, rimandare ai massonismi protestanti che innervano – e non solo simbolicamente – il decisionismo politico anglosassone, i cui segni non mancano di comparire persino sulla moneta corrente.

Quanto detto da Weber ha un senso non teorico o di analisi sociale, ma nel concreto della realtà storica e statale del mondo nord-atlantico. Il Dio giudeo-cristiano aveva respinto la trascendenza nell’assoluto del mondo celeste dell’Aldilà? Si rimediava divinizzando aspetti del reale mondano. Come ha scritto un critico di Max Weber, “la concezione della assoluta trascendenza divina precludeva la via del misticismo. Non restava al calvinismo che la via dell’ascesi, e più precisamente dell’ascesi intramondana”. Di qui la necessità, e la santità, delle “buone opere”. Il guadagno è la benedizione di Dio, vuol dire che, se ci stiamo arricchendo, siamo sulla buona strada. Da qui alla volontà di costringere il mondo intero, con le buone o con le cattive, a diventare “buoni cristiani” imboccando la via della repubblica democratica mondiale, il passo fu brevissimo.

Si dirà: ma il prestito a interesse e l’accumulazione della ricchezza, comunque intesa, c’erano ad esempio già a Firenze nel Trecento, ben prima che apparisse Calvino, e ugualmente si faceva strozzinaggio agli angoli delle vie di Anversa o di Lublino in pieno Medioevo. Certo. Ma, ci spiegava Weber cent’anni fa, mancava ancora il più e il meglio: l’idea che ad arricchirsi e a speculare accumulando fortune si operi secondo gli intendimenti di Dio, che premia il devoto e punisce il miscredente. L’idea che il ricco è anche buono, e che il povero è anche cattivo, nel senso che se l’è voluta lui, ben meritando la propria miseria. Ecco qua la famosa “etica protestante”, ridotta a ciò che è nei fatti: Stato di classe e dittatura plutocratica. Questi sono nervi sensibili dell’etica dominante nell’Occidente atlantico, il mondo è stato condizionato da questi, che sembrerebbero aspetti patologici secondari, e che invece sono aspetti patologici centrali, che, una volta saldati al potere politico, hanno portato alle attuali forme di usurocrazia universale.

“Nel mondo commerciale della concorrenza”, spiegava Max Weber, “il successo o il fallimento non derivano dall’attività o dall’abilità dell’uomo, ma da circostanza indipendenti da lui. Non si tratta dunque della volontà o dell’azione del singolo, ma della grazia, di superiori, ma sconosciute forze economiche”. Parte da qui la micidiale ideologia dell’ineluttabile, del fatale, per cui il progresso, che sia il “sol dell’avvenire” dei vecchi comunisti o “la fine della storia” dei liberisti terminali, è un accadimento più che umano, è voluto da Dio e se non ti pieghi a questa volontà divina, noi democratici credenti, come vanno le cose, te lo facciamo capire col napalm e i bombardamenti strategici, oppure con lo strozzinaggio statale oppure con la distruzione fisica del tuo Stato e la desertificazione economica, come è avvenuto, ad esempio, in Iraq o in Libia o in cento altri luoghi.

Max Weber vide d’un tratto, e bene a fondo, nel cuore del secolo XX. Il secolo del trionfo finale del capitalismo finanziario su tutti i suoi antagonisti e in tutto il mondo. Quando specificava che “la costituzione della chiesa di Calvino era assolutamente democratica e repubblicana”, aveva già detto molto su quali dovessero essere le forme politiche e partecipative che i popoli avrebbero dovuto accettare. Specialmente per quel “assolutamente”. Un sistema che è prova di felice attuazione del volere divino sulla terra. E quando Weber precisava che già in epoca elisabettiana “il calvinismo fondava una repubblica in Olanda e forti partiti repubblicani in Inghilterra e particolarmente in Scozia”, moltissimo rivelò circa la capacità di passare dalla Bibbia ai fatti concreti, che l’ideologia della setta protestante manifestò nell’Occidente, prima europeo e poi americano.Prendendo in esame queste affermazioni di Max Weber, tanto per fare un esempio, non vorrebbe qualcuno riflettere sul perché il prezzo del gas in Europa – oggi, fine del 2022 – viene deciso per l’appunto dalla Borsa di Amsterdam, e non in una qualunque altra città europea?

Il viluppo che si venne a creare fra religione dell’elezione divina di marca anabattista, salvazionista, presbiteriana etc., insieme a morale accumulatrice, repubblicanesimo anglosassone e massoneria finanziaria mondiale, ha finito col formare l’enorme realtà di un potere ubiquo inattaccabile. Questa rete gettata sul mondo è di quelle da cui i popoli non hanno possibilità alcuna di potersi districare con mezzi semplicemente dialettici o politici. Il fondamentalismo quacchero, armato fino ai denti e risoluto a comandare dappertutto, non lo si debella né per via parlamentare né per via elettorale.

Max Weber ci ha spiegato che “gli ideali supremi, che ci muovono nella maniera più potente, si sono formati in tutte le età solo nella lotta con altri ideali, che ad altri sono sacri come a noi i nostri”. In un mondo in cui il sacro non viene più riconosciuto, neppure dalle agenzie confessionali della religione ufficiale, la lotta dovrà allora svolgersi ad un piano più basso, ma concreto, vitale, magari barbarico, in cui si svolge la vera vita quotidiana del popolo.

 

 

 

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